L’autodifesa della ministra Santanchè stava visitando uno dopo l’altro tutti i luoghi (comuni) dell’orazione berlusconiana pro domo sua: il complotto stampa-magistratura, le tribolazioni del bravo imprenditore vessato e diffamato, il richiamo ai figli che so’ piezze ’e core, con l’extra dei soliti Giuda (ancora anonimi ma per poco) che si fanno ospitare al Twiga e poi ti accoltellano. Mentre dalle facce del governo circostante (Salvini, Piantedosi, Casellati) emergeva quel senso di perplessa precarietà di chi osserva una mina vagare nei dintorni e si augura caldamente che vada a deflagrare da qualche altra parte.
Intanto, sui banchi dell’opposizione si citava l’Arte della Guerra di Sun Tzu, là dove si raccomanda di non attaccare frontalmente il nemico deciso a difendere l’indifendibile, ma di lasciare che si logori nell’incertezza e nella confusione, perché prima o poi abbandonerà il campo. Qualcuno meno acculturato si affidava ai proverbi: una fine tormentosa è meglio di un tormento senza fine.
Non c’era dubbio, infatti, che l’imbarazzante arringa della ministra del Turismo (a casa sua), oltre a garantire un’estate ricca di soddisfazioni a Report e al Fatto, avrebbe potuto instillare nella testa pragmatica di Giorgia Meloni il dilemma sul farla dimettere subito e ci togliamo il pensiero.
Infatti c’è chi ricorda la drastica decisione con cui nell’agosto del 2021, in pochi giorni, fu fatto fuori Claudio Durigon, l’ingombrante sottosegretario leghista del governo Mario Draghi, che pure non era indagato dalla magistratura per la gestione diciamo così spensierata delle sue aziende. Aveva “solo” proposto di rimuovere l’intitolazione a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino di un parco pubblico a Latina per ripristinare la vecchia denominazione di parco Arnaldo Mussolini (il fratello minore di Benito). E tanto bastò a rasserenare il clima (Ps: naturalmente nell’Arte della Guerra non v’è traccia della citazione di cui sopra, forse perché Sun Tzu non conosceva Daniela Santanchè).