Salari molto più bassi della media europea, giovani adulti più poveri rispetto alle altre fasce di età, una popolazione che invecchia inesorabilmente mentre lo Stato spende molto poco per sostenere le famiglie e la natalità. Il rapporto annuale Istat – ieri è stato presentato quello del 2022 – è il consueto appuntamento con la strutturale emergenza sociale. Un ossimoro apparente: la carrellata di numeri allarmanti non spaventa neanche l’attuale governo, il quale – al contrario – prosegue dritto con misure che, se guardate alla luce dei dati, sembrano destinate a un altro Paese.
La questione salariale è centrale. Le retribuzioni dei lavoratori italiani sono inferiori alla media europea di 3.700 euro all’anno. La forbice – dice il rapporto – diventa di 8mila euro se il confronto è solo con quelli tedeschi. Le paghe lorde ammontano a circa 27mila euro e la differenza con l’Europa è del 12%, quella con la Germania arriva al 23%. La significativa differenza si vede non solo fotografando la situazione attuale, ma osservando la crescita degli ultimi anni: tra il 2013 e il 2022, le nostre buste paga sono salite del 12%, circa la metà della media europea. Questo vuol dire che in quel periodo il potere d’acquisto delle nostre famiglie è sceso del 2%. In questo contesto, dunque, si colloca l’atteggiamento del governo di chiusura netta a ogni ipotesi di salario minimo, a partire da quella presentata in questi giorni da tutti i partiti di opposizione (Italia Viva esclusa).
Gli stipendi bassi, poi, contribuiscono a diffondere la povertà, specialmente nella generazione che più di tutte fa i conti con il precariato. Secondo il rapporto, ben il 47,7% della popolazione tra i 18 e i 34 anni fa i conti con almeno un fattore di deprivazione materiale. Si tratta di un indicatore che misura il benessere e che conta sei aree: istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, benessere soggettivo, territorio. In pratica, quasi la metà dei giovani maggiorenni presenta una carenza in almeno una di queste; 1,6 milioni, invece, presentano deprivazioni in due o più domini. Il rapporto, quindi, segnala quella fascia di età come la più vulnerabile e vale la pena ricordare che proprio quella fascia sarà interessata maggiormente dal taglio del Reddito di cittadinanza; da ora in poi la nuova misura potrà andare solo a chi ha minori, disabili o anziani nel nucleo. I più colpiti saranno i single e le giovani coppie senza figli, che pure sono le categorie penalizzate dal mercato del lavoro. “Per la maggioranza dei giovani – ha detto il presidente facente funzione Istat Francesco Maria Chelli – il raggiungimento di queste tappe è sempre più un percorso a ostacoli e negli ultimi decenni si è assistito a un loro costante posticipo”. Tra l’altro, la povertà si conferma un fenomeno ereditario: da noi la trasmissione intergenerazionale della povertà, la “trappola”, è più intensa che nella maggior parte dell’Ue: quasi un terzo degli adulti tra 25 e 49 anni a rischio povertà viene da famiglie che, quando avevano 14 anni, erano in cattive condizioni finanziarie. Evidenza che stronca la narrazione del disagio economico come colpa.
I posti di lavoro, poi, nel 2022 sono cresciuti ma i nostri dati restano tra i peggiori d’Europa. E il record del tasso di occupazione dipende anche da fattori demografici, cioè dalla popolazione in età lavorativa che diminuisce. Il declino è proseguito anche nell’anno appena passato, quando la popolazione italiana generale è diminuita di 179.416 unità. Per la prima volta le nascite sono andate sotto le 400mila, fermandosi a 393mila, mentre le morti sono state 713mila. A inizio 2020 l’età media era di 45,7 anni, mentre ora siamo a 46,4. Siamo tra l’altro uno dei Paesi che meno investe per la famiglia e i minori: l’Italia spende l’1,2% del Pil, contro il 2,5% della Francia e il 3,7% della Germania.
Anche i dati ambientali sono preoccupanti. La disponibilità idrica nazionale ha raggiunto il suo minimo storico nel 2022, quasi il 50% in meno rispetto al periodo tra il 1991 e il 2020. E c’è il problema della povertà energetica: il 17,6% delle famiglie a rischio povertà non riesce a riscaldare adeguatamente l’abitazione e il 10,1% dichiara arretrati nel pagamento delle bollette.