“Ho paura dell’acqua”, dice Alice Casadei, cittadina forlivese, nel corso di una delle assemblee cittadine organizzate da varie associazioni locali, tra cui Forlì Città Aperta. Come lei, tante altre persone stanno ancora vivendo le conseguenze catastrofiche dell’alluvione del 16 maggio. Ma dall’alto delle finestre del Comune di Forlì le grida, le lacrime e le preoccupazioni non trovano nessun riscontro. “La sera dell’alluvione il problema per noi sono state le fogne. L’acqua veniva su dal wc, dal bidet e dalla doccia. Sulle scale saliva di un gradino ogni mezz’ora, fino a raggiungere 72 cm in casa mia e 1.90 m nel mio negozio, con la cantina sommersa. Eravamo completamente isolati e senza luce. E al buio la paura era ancora più grande. Non abbiamo mai visto la protezione civile forlivese, venivano tutti da fuori. Neanche i vigili del fuoco sono intervenuti, da me sono venuti solo gli scout e i volontari. Adesso per paura viviamo in camper. Tantissime persone sono state evacuate senza una dichiarazione o un foglio di intervento, che adesso però ci richiedono, e quindi tanti sfollati non riescono a dimostrare di essere tali”.
Giorgia Meloni aveva annunciato che con il Decreto Alluvione Emilia Romagna sarebbero stati stanziati più di 2 miliardi di euro. Il testo, però, oltre a essere stato pubblicato solo il 1° giugno, prevede in realtà mezzo miliardo di euro in meno per le vittime del disastro climatico. Inoltre, il commissario straordinario è stato designato solo il 27 giugno, più di un mese dopo l’alluvione. Non sorprende, quindi, il fatto che i membri della cittadinanza si sentano abbandonati.
“Secondo il Decreto servono sia la residenza che il domicilio abituale per ricevere il sussidio di 400 euro. Non posso vivere in camper d’estate. Come faccio a pagare l’affitto? Per non parlare del mio negozietto che dovrei mettere in sicurezza e che non viene considerato secondo queste regole”, continua Alice. Un problema, quello delle abitazioni, che riguarda la città già da tempo: secondo un articolo di Forlìtoday di pochi mesi fa gli appartamenti sfitti in attesa di risistemazione erano circa 260, numero che aumenta in maniera stabile di circa 20-25 unità l’anno.
Nelle prime settimane migliaia di volontari si sono riversati sulle strade per spalare il fango e per aiutare le persone in difficoltà. Ciononostante, l’emergenza non è ancora finita. Un altro grande problema è l’assenza di una mappatura delle zone più colpite: in questo modo, indirizzare gli aiuti e ascoltare i bisogni della gente risulta complesso.
Oltre ai danni materiali non bisogna dimenticare anche l’impatto psicologico sulle vittime dell’alluvione. “È devastante, abbiamo incubi su incubi. Stanotte ho sognato che ero in macchina e le strade mi crollavano davanti. Cercherò di usufruire del servizio psicologico gratuito dell’AUSL, perché la notte non dormo. Appena vedo un fulmine accendo la torcia per controllare che non ci sia nulla per terra. Ci sono stati momenti all’inizio in cui mi inchiodavo, immobile. Non sapevo cosa salvare, non avendo ricevuto informazioni”, racconta Alice.
La situazione, quindi, risulta ancora grave, e gli interventi presi finora non hanno dietro una preparazione adeguata. “Non ci hanno neanche avvisato dell’ondata, ma l’hanno fatto per il trattamento anti-zanzare. Abbiamo dovuto usare i social per avere informazioni. E le persone anziane che molto probabilmente non li usano come fanno? Non si è capita la gravità. E l’acqua non si ferma, non è come la neve. Ci sono punti ancora franati sulle colline che non sono stati sistemati e nessuno se ne sta occupando”.
Eppure, secondo gli ultimi dati accessibili dalla mappa dei rischi dell’Istat e forniti in parte dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), ben 104.373 persone in città vivono in aree con pericolosità idrica media, e 2.337 in aree a rischio alto. E nel 2019, con l’approvazione all’unanimità della mozione “Riconoscimento della crisi climatica ed ambientale”, il sindaco Zattini e la Giunta si erano impegnati “ad assegnare la massima priorità al contrasto al cambiamento climatico nell’agenda dell’Amministrazione comunale, tenendo presente gli effetti che questa comporterà sul clima”. Un impegno che non risulta rispettato, e che porta la gente in piazza, a ricordare loro stessi del proprio potere e della loro forza.