Venerdì scorso, per la prima volta, la Scuola del Fatto Quotidiano è sbarcata in azienda. Lo ha fatto con due lezioni – una dedicata alla creatività e l’altra all’estetica – tenute a un gruppo di studenti di Fidenza e del territorio parmense riuniti nell’auditorium della Pinko, e a tutti i dipendenti dell’azienda sparsi in tutto il mondo, collegati via Internet.
L’iniziativa rientra nella strategia pedagogica della Scuola che intende contribuire al necessario dialogo tra la cultura tecnico-scientifica e quella umanistico-sociale, cominciando dalle aziende che più si sono impegnate nel progettare una sintesi postindustriale dell’utile, del buono e del bello.
Vale la pena di evocare sinteticamente i rapporti tra queste tre categorie, così come sono evoluti nel tempo. Praticamente il progresso tecnologico e lo sviluppo umanistico non sono andati mai di pari passo. Nella Mesopotamia di 5.000 anni fa vi fu un’improvvisa fioritura di scoperte e di invenzioni: la ruota, la scrittura, l’astronomia, l’agricoltura, la città, la scuola, cambiarono la vita dei nostri lontani progenitori e misero le prime pietre di quella grande costruzione materiale e spirituale che sarebbe poi stato l’Occidente.
Il progresso apparve così straordinario che, ancora molti secoli dopo, secondo Aristotele, tutto ciò che c’era da inventare per una migliore qualità della vita materiale dell’uomo era stato inventato. Dunque, non restava che dedicarsi totalmente allo sviluppo dello spirito. E questo, appunto, fecero i greci, i romani, gli uomini del medioevo e del rinascimento portando ai massimi livelli l’arte e la letteratura, la filosofia e la drammaturgia. Intanto, il progresso tecnologico restava allo stallo: sia Giulio Cesare che Napoleone, a molti secoli l’uno dall’altro, se avessero voluto coprire la distanza tra Roma e Parigi, avrebbero impiegato lo stesso, lunghissimo tempo. Noi, a due secoli da Napoleone, e senza godere di privilegi imperiali, impieghiamo un cinquantesimo del loro tempo.
Sono stati i grandi pensatori del Seicento a invertire la rotta: Galileo, Cartesio, Bacone, Newton hanno spostato nuovamente il pendolo dalla parte del progresso tecnologico spianando la strada alla società industriale con le sue macchine potenti e fragorose, con il suo febbrile urbanesimo, con il suo consumismo compulsivo. Bacone dirà che “il tempo, come lo spazio, ha i suoi deserti e le sue solitudini”: dopo la lunga latenza del progresso tecnologico, dopo la massima concentrazione degli sforzi umani sull’elevazione dello spirito, ecco riemergere prepotente il bisogno di una vita pratica più comoda, più sana, più ricca. L’Illuminismo fornì a questo bisogno il paradigma della razionalità e l’industria fece il grande salto “dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”, come dirà l’epistemologo Alexandre Koyré.
Oggi, grazie a quel salto, la durata della vita media è raddoppiata, la popolazione mondiale è triplicata, il Prodotto Interno Lordo è centuplicato; alle macchine meccaniche si sono aggiunte quelle elettromeccaniche, poi quelle digitali e ora l’Intelligenza Artificiale. Ma, insieme al benessere materiale sono aumentate le disuguaglianze, i conflitti, il disorientamento, le incomprensioni generazionali e, sempre più urgente, si avverte il bisogno di una nuova sintesi, un nuovo equilibrio, una nuova semplicità. Il grande artista Constantin Brancusi diceva che “la semplicità è una complessità risolta”: ecco, la grande presunzione della Scuola del Fatto Quotidiano è di contribuire alla risoluzione delle complessità che rendono faticoso il nostro vivere postmoderno.
Abbiamo iniziato da Pinko: azienda creativa in una regione creativa come l’Emilia, entrambe impegnate a fare della qualità della vita l’obiettivo prioritario della loro azione. L’intento di questo intervento pedagogico era quello di far riflettere coralmente sui due concetti cardine di “creatività” e di “estetica” analizzati attraverso incursioni letterarie affidate a Luca Sommi e attraverso un dialogo serrato tra l’esplorazione teorica dei due concetti e il confronto con i massimi protagonisti della loro traduzione concreta.
Da una parte, dunque, la riflessione teorica su come sono evoluti, nel corso dei secoli, i processi creativi e le forme estetiche nel loro passaggio dal mondo classico alla società moderna e alla cultura postmoderna; dall’altra le testimonianze dirette dei massimi protagonisti della Pinko: il suo creatore e conduttore Pietro Negra e l’architetto Guido Canali che ne ha ideato il sorprendente headquarter. Negra è l’idealtipo di imprenditore che pensa e produce prodotti belli, realizzati nella bellezza; Canali è il progettista di un contesto architettonico dove gioco, studio e lavoro possono agevolmente compenetrarsi in quello che io amo chiamare “ozio creativo”.