Quasi 17mila chilometri di linee ferroviarie sulle quali circolano adesso, ogni giorno, oltre 10mila treni, numero che si avvicina, secondo il gruppo Ferrovie dello Stato, ai livelli pre-Covid. Sempre secondo Fs, ora anche la quantità di viaggiatori sarebbe pressoché prossima alla quota del 2019, prima della pandemia. Nei due anni di emergenza si era ridotta del 30%: e in realtà mancherebbe all’appello ancora il 20% dei passeggeri. Dunque: tutto sembrerebbe essere tornato alla normalità, sia per i treni ad alta velocità sia per quelli a lunga percorrenza (Intercity ed Eurocity) e per i regionali.
Alzi la mano però chi in questi ultimi mesi non è incappato in un ritardo più sovente del solito. Dieci, quindici minuti come minimo. E non di rado molto di più. Senza tornare al 6 maggio – sabato di totale caos, con ritardi fino a sei ore che hanno coinvolto un centinaio di treni a causa del contatto tra un pantografo e la linea di illuminazione elettrica, al passaggio dell’Intercity Roma-Ancona vicino alla stazione Tiburtina della Capitale – la massima puntualità dei treni italiani è ancora un miraggio per ogni tipo di convoglio.
Tutto è in netto miglioramento, controbattono però dalle Fs. Per esempio: “L’indice di puntualità dei treni Av è passato dal 77,9% del 2019 al 78% del 2022, per arrivare nei primi sei mesi del 2023 all’80,2%”. Significa che “otto treni su dieci arrivano o in orario o con uno scostamento di dieci minuti, sette su dieci sempre o in orario o con uno scostamento di 5 minuti”.
E via così anche per Intercity (l’indice ha raggiunto nei primi sei mesi dell’anno l’89%) e per i regionali (91,2), con range, per fare i calcoli statistici, che si basano su 5, 10 e 15 minuti. Ma dieci minuti o un quarto d’ora non sono affatto pochi, soprattutto per chi, magari, deve prendere al volo un altro treno o raggiungere velocemente un aeroporto.
E già questo basterebbe a irritare la commissione Ue. Poco più di un mese fa, il 7 giugno, è entrato in vigore il regolamento comunitario (782/2021) che raccomanda “un sistema di indennizzo per i passeggeri in caso di ritardo”, anche quando questo ritardo “è causato dalla cancellazione di un servizio o da una mancata corrispondenza”. Trenitalia un bonus lo riconosce, ma solo dalla mezz’ora in su: fino a 119 minuti, per le Frecce, è pari al 25% del costo del biglietto. Il 50% è infatti previsto, pure per gli intercity, solo in caso di un ritardo superiore ad almeno due ore. Certo, le cose sono un po’ cambiate rispetto al 2019. Ora c’è la grande partita del Pnrr, piano che ha destinato alla riqualificazione e all’ammodernamento ferroviario 26 miliardi di euro, dei quali 8,57 per l’Av al Nord e 4,64 sempre per l’alta velocità al Sud. “Una partita – dice Francesco Donini, della Filt-Cgil (trasporti) –, con cantieri aperti da qui a tre anni che espongono a un grande stress l’intera infrastruttura, con un sovraccarico di treni di cui pagano il prezzo più alto prevalentemente i grandi snodi, come Bologna”.
Ciò che non è cambiato, anzi è peggiorato, sono i numeri sui suicidi o gli investimenti: 283 casi lo scorso anno, 481 nel primo semestre di quest’anno. Ma al netto di questi eventi tragici, non si è alleggerito il peso dei guasti alle linee e ai treni. “In ogni caso l’indice di puntualità è basso, dovrebbe essere almeno del 95% – dice Dario Balotta, presidente di Onlit, Osservatorio nazionale sui trasporti –, per avvicinare l’Italia ad altri Paesi europei come la Spagna, dove se il treno ritarda anche pochi minuti la compagnia ferroviaria deve rimborsare l’intero biglietto.
Quanto ai guasti, sono il risultato di una scarsa manutenzione. Il materiale rotabile è molto sensibile alle temperature elevate così come al freddo intenso. Ma l’attenzione delle Ferrovie dello Stato è tutta tarata sui grandi investimenti per l’alta velocità mentre invece sarebbe necessario avviare una grossa operazione di manutenzione ordinaria e straordinaria”.