La storia di Raul Gardini è ricostruita, a trent’anni dalla sua morte, da un programma Rai con la regia di Francesco Miccichè che tenta di unire documentario e finzione, intercalando, da una parte, filmati di repertorio, interviste a protagonisti e testimoni e, dell’altra, ricostruzioni filmiche con attori, tra cui Fabrizio Bentivoglio che interpreta Gardini. Potenti le prime, disarmanti le seconde. Bentivoglio cerca invano di scimiottare con un’improbabile cadenza romagnola il Gardini vero, visto pochi fotogrammi prima. Il confronto è impietoso: il vero Raul è folgorante, parla meglio di Bentivoglio, è più bello di lui, emana più fascino. Alla fine, resta in bocca il sapore di un’agiografia triste. Mentre sulla scena internazionale si svolge l’epica disfida del Moro di Venezia, con gli italiani che stanno svegli la notte per vedere le regate di vela in tv, sulla scena italiana si consuma il dramma di Gardini alle prese con il caso Enimont. Tenta di creare una grande impresa internazionale della chimica sottratta al controllo dei partiti (“La chimica sono io”), ma questi prima lo bloccano, poi gli spremono i finanziamenti illeciti della “madre di tutte le tangenti”, oltre 150 miliardi di lire. Abituato a vincere, Raul decide di uscire di scena con un colpo di Walther Ppk: la mattina del 23 luglio 1993, il giorno in cui era atteso in procura da Antonio Di Pietro per essere interrogato proprio sulla supermazzetta Enimont.
Il programma Rai ha almeno il merito di non indulgere nel vittimismo del “clima infame” che i corrotti sostengono essere stato creato da Mani pulite: le tangenti c’erano eccome, il sistema era marcio. Ed è proprio quel sistema che uccide Raul. Gardini aveva anche un altro paio di problemi, che il programma Rai sminuisce o dimentica. Il primo è la crisi del gruppo Ferruzzi, finito sull’orlo del crac: Raul aveva fatto operazioni speculative alla Borsa di Chicago e aveva perso 400 milioni di dollari, perdite che aveva poi nascosto nei bilanci delle società del gruppo; per questo era già stato cacciato dalla famiglia Ferruzzi. Il secondo problema, affiorato solo anni dopo e ancora oggi considerato tabù, è pesantissimo: Gardini aveva consegnato alcune società del gruppo nelle mani della mafia, era diventato, di fatto, socio di Cosa Nostra. Racconta il boss Giovanni Brusca: “La quota dei grandi appalti spettante a Cosa Nostra ci venne attribuita per il tramite delle società facenti parte del gruppo Ferruzzi”.