FIRMA LA NOSTRA PETIZIONE – Santanchè deve dimettersi
“Voi non sapete vendere, questo è il problema. E io lo posso dire, perché vado tutti i giorni in Parlamento e faccio il vostro stesso lavoro”. Gli agenti rumoreggiano: “Certo, se solo la senatrice pagasse le fatture per tempo”. Vita da venditori alla Ki Group srl, un tempo florido colosso del biologico, oggi società in crisi sul cui dissesto indaga la Procura di Milano. Un’altra società della galassia d’imprese della ministra Santanchè, che nel caso di Visibilia si gioca l’osso del collo tra accuse di falso in bilancio, bancarotta e in ultimo un’ipotesi da esplorare di truffa ai danni dello Stato per i lavoratori in cassa Covid a zero ore rivelata a novembre dal Fatto. Più modestamente, gli ex dipendenti di Ki Group si giocano la pensione: una trentina tra impiegati e venditori in questi giorni bussano all’Ispettorato del lavoro e all’Enasarco per verificare se oltre a compensi e Tfr dovranno lottare anche per i contributi che l’azienda doveva versare dal 2020 e prima che fioccassero licenziamenti collettivi e dimissioni. Lo sfogo motivazionale della “signora Ki” ricorre nelle testimonianze che il Fatto ha raccolto.
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L’ultima a presentarsi all’ispettorato di Torino, dove ha sede l’azienda, è stata Raffaella Caputo, impiegata amministrativa dal 2002 licenziata il 9 agosto del 2022 per giustificato motivo essendo l’azienda del bio ormai sul lastrico. “Ma non prima che Santanchè e l’ex compagno Canio Mazzaro trasferissero clienti, magazzino e alcuni di noi alla controllata Verde Bio, che è attiva e lavora mentre l’altra muore”, precisa. Solo di Tfr aspetta 35mila euro. “Abbiamo chiesto alla Guardia di Finanza di verificare se hanno versato almeno la quota dipendente che trattenevano in busta paga, altrimenti sarebbe appropriazione indebita”. Marco Scotto, agente dal 1984 ha accumulato crediti per 111.318 euro: “Enasarco vede il versato e non ciò che è da versare, ma dai miei conteggi mancano anche 2.088 euro di contributi per il 2021-22”. Claudia Micucci era l’agente per il Lazio, deve avere 3mila euro: “Mi costava più un avvocato che venirne a capo, ricordo le riunioni in cui la Santanchè rampognava gli agenti con quei paragoni azzardati: ma il problema era che non li pagava, se non dietro sollecito, come i fornitori. La merce non arrivava in magazzino e i clienti non compravano più articoli”.
Altri lavoratori lamentano cifre ben più alte e la beffa è che se anche volessero versare loro i contributi mancanti, in forma volontaria, non potrebbero farlo, non prima che siano passati due anni dalla dichiarazione di fallimento. Averli prima però è ancora più difficile. Tutti i crediti, compresi quelli esecutivi in forza di decreti ingiuntivi, sono congelati dal 29 luglio 2022, giorno in cui la società deposita al Tribunale di Milano una procedura di risoluzione negoziata della crisi che viene accolta e prorogata fino al 22 marzo 2023, quando il giudice Sergio Rossetti appura che “non ci sono margini per superare le condizioni di squilibrio patrimoniale”. Le promesse via Pec di pagamento diventano carta straccia. Per dipendenti e creditori quel giorno si apre però lo spiraglio dell’istanza di liquidazione giudiziale: in 12, 7 agenti e 5 impiegati, la depositano al tribunale chiedendo 450mila euro di spettanze, compresi i contributi degli ultimi due anni mai versati. L’istanza non va in porto per un soffio: pochi giorni prima i legali di Ki avevano inviato alla seconda sezione civile una proposta di concordato semplificato liquidatorio che congela per la seconda volta le spettanze creditizie. “All’Inps ci hanno spiegato che Ki ha ottenuto la moratoria di un anno con pagamento a rate dei debiti previdenziali, per cui eventuali irregolarità non risultano, ma pare che neppure la prima rata sia stata pagata”, dice Monica Lasagna, 52 anni, metà dei quali passati in Ki fino al gradino più alto dell’ufficio vendite. “Non potendo più accedere alla contabilità aziendale, sarà la Finanza a evidenziare se ci sono ammanchi. Si sta già muovendo dopo le nostre denunce”, dice.
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Le direttive in Ki Group, aggiunge, “fino all’ultimo erano impartite da Santanchè”, smentendo così la versione fornita dalla ministra in Senato dove ha giurato di non occuparsi di biologico. “Lo fa ancora oggi, lo dicono i vecchi fornitori. Del resto lì è rimasto il figlio Lorenzo che la ministra aveva messo sotto la mia ala perché giovane e inesperto chiedendomi ‘insegnagli tutto sulle vendite’. L’ho fatto con convinzione perché non ho nulla contro Santanchè, ogni imprenditore può fallire. Ma quando ricopri ruoli istituzionali certe cose non le puoi fare”. Che tipo di cose? “Ki era un gioiello da 50 dipendenti e 20 agenti. Io ero la responsabile e ben prima dei contributi c’era il problema dei pagamenti, alcuni erano indietro anche di un anno. Nelle riunioni Santanchè ripeteva ‘Tranquilli che presto sarete pagati tutti, ci metto la faccia!’. Frase che detta da un senatore dà grande fiducia, chi dubiterebbe? Poi chiudeva la call: ‘Bella figura da cioccolatai, e ora questi come li paghiamo?’”.
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