Nelle democrazie mature il primo potere di controllo sull’attività del governo e dei suoi membri non spetta né alla stampa, né alla magistratura. È invece il Parlamento a verificare, anche partendo da notizie scoperte dai media o dagli investigatori, cosa fanno o non fanno i ministri e cosa eventualmente hanno fatto. Ed è sempre l’assemblea legislativa a decidere, in base ai comportamenti, se alla collettività convenga che Tizio o Caio resti al potere. Per questo laddove la democrazia funziona si ripete spesso che una buona e dura opposizione finisce per migliorare l’operato della maggioranza. Un risultato che è un bene per tutti i cittadini: sia per chi ha votato i governanti, sia per chi ha scelto gli oppositori.
L’Italia però ha ancora parecchia strada da percorrere prima di arrivare alla maturità. O forse non vi arriverà mai, come ha dimostrato il dibattito al Senato di ieri sulla mozione di sfiducia inutilmente presentata da M5S e Pd contro Daniela Santanchè. Tra i nostri sedicenti rappresentanti comincia a far breccia l’idea che in Parlamento una mano debba lavare l’altra e che tutte due lavino sempre la coscienza. Intendiamoci, a spingerci a pensarlo non è stato l’esito scontato della votazione. Sono state invece le motivazioni con cui molti esponenti della maggioranza hanno deciso di riconfermare la loro fiducia alla responsabile del Turismo.
Prendete ad esempio Licia Ronzulli. La capogruppo di Forza Italia, sostenitrice di un governo che dieci giorni fa diramava comunicati anonimi per denunciare una sorta di complotto da parte della magistratura, ora spiega che va demandato solo alle toghe il compito di selezionare le classi dirigenti. “Chi siamo noi – dice – per giudicare la colpevolezza o l’innocenza di un membro del governo o del Parlamento? Per noi solamente i giudici hanno il potere di emettere sentenze in nome del popolo italiano. Questo potere non appartiene né a noi né a voi e nemmeno alla stampa di parte, troppo sicura di poter condizionare la vita pubblica”. L’idea che i giudici si debbano occupare di reati e i politici invece di comportamenti (che a volte possono anche essere reati, ma molto più spesso no) non sfiora l’ex pasionaria berlusconiana. Tanto che Ronzulli, confondendo il piano giudiziario con quello etico e politico, si rivolge così ai colleghi di Palazzo Madama: “Ciò che accade oggi alla senatrice Santanchè domani potrebbe capitare a ciascuno di noi”. Perché siete talmente imprudenti da non ricordare la frase di Pietro Nenni: “Gareggiando a fare i puri arriva sempre uno più puro che ti epura”. La soluzione, allora? Il disarmo bilaterale: noi non diciamo più nulla sui vostri coinvolti negli scandali e voi fate altrettanto con i nostri.
A teorizzare apertamente la tregua è il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, che dopo aver ammesso con onestà come a parti invertite il Carroccio si sarebbe comportato con i ministri di sinistra esattamente come fa ora l’opposizione con Santanchè, propone un surreale mea culpa collettivo: “Siamo stati noi che con la delegittimazione reciproca abbiamo indebolito tutti a prescindere dalla collocazione politica”. La prova? “È il grado di considerazione clamorosamente basso che abbiamo tra i cittadini. Quando andiamo in giro lo vediamo cosa la gente pensa di noi”. Sarà, ma l’idea che il prestigio lo si possa riconquistare nascondendo lo sporco (di tutti) sotto il tappeto a noi suona più da oligarchia che da democrazia. Ma noi siamo fatti ancora alla vecchia maniera e visti i tempi abbiamo certamente torto.