Il gelido sms con cui s’è comunicato a 159mila percettori del Reddito di cittadinanza lo stop all’assegno è stato giudicato da molti come incidente di percorso del governo. Non ne sarei così sicuro. Abbinato con la decisione presa ieri di sottrarsi al confronto sul salario minimo richiesto dall’opposizione, direi piuttosto che quell’sms è un test brutale che Giorgia Meloni adopera per verificare l’efficacia della sua comunicazione nella materia sensibile delle politiche sociali. Il proposito sperimentato dalla destra è presto detto: aizzare i benpensanti contro gli “scansafatiche” per lasciare mano libera ai datori di lavoro.
Lo conferma il compiacimento con cui da fonte governativa si sostiene che l’ondata di protesta contro il provvedimento sarebbe solo un’invenzione mediatica, vista l’esiguità numerica delle prime manifestazioni di piazza a Napoli. È venuta a fagiolo anche l’inchiesta milanese sui furbetti del reddito, “39 persone di origine nordafricana”, snidati all’aeroporto di Linate mentre tentavano di esportare nel bagaglio “ingenti somme di denaro”. Mentre i giornali filogovernativi esultano facendo notare che dacché si è abolito il Reddito di cittadinanza aumentano le assunzioni (sottopagate) nel settore turistico. A indorare la pillola sopraggiunge inaspettato il parere favorevole del governo sulla mozione Fratoianni per una tassa di successione sui patrimoni superiori a 500mila euro (subito ovviamente revocato); dopo il no di FdI all’aumento dei vitalizi per i deputati: camuffamenti innocui da “destra sociale”.
Al dunque, i patrioti lanciano il solito messaggio secondo cui, per aiutare la povera gente a trovare lavoro, bisognerebbe prima fare piazza pulita dei troppi parassiti che vi si annidano. Vale qui la pena di riportare per intero l’argomento con cui, nel 1994, il teorico leghista Gianfranco Miglio giustificò l’alleanza fra i padani e i nazionalisti del Msi sotto l’egida di Berlusconi. Si tratta, infatti, di un vero e proprio manifesto ideologico della destra: “Il grado di civiltà politica di un Paese dipende dal modo in cui si riesce a limitare la quantità e la presenza dei parassiti. I parassiti sono nella società come sono sugli animali. Se i parassiti crescono al di là di un certo numero l’animale muore. E muore la società. Chi è il parassita? Il parassita è colui che non produce ricchezza ma vive consumando quella prodotta dagli altri. Mi scuso se oggi parlo di pidocchi. Siamo un Paese ammalato da un esercito di pidocchi”.
Miglio era un reazionario, già consulente di Eugenio Cefis all’epoca in cui da quest’ultimo veniva elaborato un progetto di riforma istituzionale autoritaria. Ma la teoria dei parassiti da debellare appartiene al più triste armamentario della destra, sempre in caccia delle “zecche” incistate nella società nazionale altrimenti sana. Con parole solo un po’ edulcorate la ritroviamo pari pari nella propaganda odierna. E poco importa che si tratti di un’interpretazione grottesca del malfunzionamento del sistema economico, buona solo a sottacere le scelte sbagliate degli imprenditori e a mantenere intatta l’assetto classista della società. Per la destra al potere i tassisti e i balneari meriteranno sempre più dei precari e dei disoccupati.
Il guaio è che la retorica contro i parassiti, mirante a disincentivare la solidarietà nei confronti dei più fragili, attecchisce facilmente in tempi di insicurezza e calo del benessere. Tanto più dopo decenni in cui la sinistra ha assecondato, se non promosso, la deregolamentazione del mercato del lavoro illudendosi che ciò servisse a favorire la crescita. Vi fu un tempo in cui bastava un licenziamento politico per suscitare una forte reazione collettiva dentro e fuori quel luogo di lavoro. Oggi 159mila famiglie private da un giorno all’altro del loro misero reddito non suscitano una mobilitazione immediata. Ciò dipende, lo sappiamo, anche dalla mutata composizione delle classi. Il blocco sociale che si riuniva intorno a una forte classe operaia si è disperso nel troppo elogiato “capitalismo molecolare”. Solo ora, con grave ritardo, ciò che resta dei partiti di sinistra e dei sindacati rimette in discussione una politica che trascurava i poveri rimasti ai margini del sistema in cui fa comodo trarre profitti dall’evasione fiscale e dal mercato protetto anziché dall’innovazione e dal lavoro dignitoso. La ricostruzione di un nuovo blocco sociale degli sfruttati e degli emarginati, divenuti nel frattempo una moltitudine, necessiterà di elaborazione teorica e di pratiche coraggiose ancora in cerca d’autore. Nel frattempo la destra si nutre di questa sorta di guerra civile in corso tra svantaggiati.
Suona beffardo il calcolo chissà come elaborato dalla ministra Calderone secondo cui fra le persone private del reddito vi sarebbero 112mila “attivabili”. Come? A quali condizioni dovranno sottomettersi, senza neanche minimo salariale?