Massimo D’Alema ha un “modus agendi” che si avvantaggia di una “rete relazionale” “composta prevalentemente da un nucleo di persone stabilmente inserite nella vita pubblica e privata con legami radicati nel mondo politico-istituzionale che operano nel contesto simbiotico di un reciproco tornaconto personale”. Così gli uomini della Digos di Napoli in un’informativa del 28 novembre 2022 definiscono l’azione dell’ex premier ed ex ministro degli Esteri nel corso delle trattative per le forniture militari di Leonardo e Fincantieri in Colombia. Affari mai conclusi ma che sono costati a D’Alema e ad altre sette persone un’accusa di corruzione da parte dei magistrati di Napoli. Tra gli iscritti oltre il lìder Maximo c’è anche l’ex amministratore delegato di Leonardo, Alessandro Profumo, e Giuseppe Giordo, ex manager di Fincantieri. Secondo le accuse dei pm, così come riportate nel decreto di perquisizione del 6 giugno 2023, D’Alema si sarebbe posto come “mediatore informale” nei rapporti con i vertici di Leonardo e Fincantieri per gli accordi con le autorità colombiane per le forniture. Indagati anche due consulenti del Ministero degli Esteri della Colombia, Emanuele Caruso e Francesco Amato, i quali secondo i magistrati si sarebbero resi disponibili a promettere e offrire a pubblici ufficiali colombiani circa 40 milioni di euro, la metà della provvigione (da 80 milioni), pari al 2 per cento delle due commesse da 4 miliardi di euro. Gli 80 milioni dunque per i pm erano da “ripartirsi tra la parte colombiana e la parte italiana attraverso il ricorso allo studio legale associato americano Robert Allen Law” che alla fine non avviene.
Quando nel 2021 insisteva: “Bisogna che si diano da fare”
L’informativa della Digos dunque riproduce la scansione temporale delle trattative e riporta chat tra i protagonisti di questa vicenda finora inediti. Come le conversazioni tra D’Alema e Paride Mazzotta, consigliere regionale di Forza Italia in Puglia e non indagato. È il 17 novembre 2021 quando l’ex premier sembra impaziente: “Ciao. Siamo pronti. Inviamo tutta la documentazione. La mail partirà da Miami. È assolutamente essenziale che l’attesa manifestazione di interesse sia inviata a R. Allen Law. Saranno poi loro a contattare le società per organizzare una missione. Deve risultare evidente in ogni passaggio il ruolo dei promotori commerciali…”. Qualcosa però deve essere andato storto, perché due giorni dopo ritorna a scrivere: “… Il materiale è stato inviato. Pare ci siano problemi di ricezione. Bisogna che si diano da fare. È, per molte ragioni, urgente che gli avvocati ricevano una manifestazione di interesse…”.
Il 23 novembre 2021 D’Alema scrive ancora a Paride Mazzotta: “Come va? Alcuni dei nostri interlocutori cominciano a chiedere se abbiamo scherzato o no. Avendo scomodato il top delle società qualcuno (cioè io) rischia di fare una brutta figura…”. Segue un audio di Mazzotta del 26 novembre 2021 così trascritto: “(…) Ho appena parlato con il corrispondente il quale mi dice che la Robert Allen ha risposto a lui e non invece direttamente alla mail del Paese, quindi se riusciamo entro oggi a mandare una mail per avvisare il Paese lunedì ci fissano un appuntamento”. Il 29 novembre D’Alema invia un nuova sollecitazione: “Ho ricevuto messaggi che annunciano manifestazioni di interesse da parte di altri 2 stati. Molti annunci promettenti. Ma allo stato non vi è stato alcun riscontro. Di nulla. Cominciamo ad essere preoccupati…” Dopo molte conversazioni e alcuni incontri si arriva alla nota conference call dell’8 febbraio 2022, quella resa pubblica da La Verità che l’1 marzo del 2022 ha pubblicato l’audio. C’erano D’Alema, Fierro Flores quale emissario del governo colombiano e un’altra persona: “Siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro”, è una delle frasi dell’ex premier. Che poi in un’intervista ha spiegato: “Ho parlato degli 80 milioni… per spiegare ai colombiani che l’unico modo per avere denaro era chiudere l’affare”. D’Alema ha più volte detto di non aver incassato un euro e di non aver avuto rapporti di lavoro con Fincantieri o Leonardo. Il suo, ha spiegato al Corriere, è un lavoro di “consulenza e assistenza a imprese italiane per investimenti all’estero”.
“Dinamiche opache in scambi regolari”
Insomma tutto si muove in quel mondo delle lobby, e almeno così la pensano gli investigatori della Digos secondo i quali non ci sono “elementi convincenti e probanti da poter fondare ipotesi indiziarie sul conto dei soggetti investigati in quanto gli accadimenti narrati, pur meritori sotto l’aspetto delle articolate e opache dinamiche, si inquadrano nell’ambito di regolari scambi commerciali…”. Anche per D’Alema, secondo la Digos, non si ravvisano reati ma “appare pienamente conclamata la sua capacità comunicativa nel negoziato (…), sintomatico del ruolo propulsivo e decisorio discendente dalla caratura e storica militanza negli apparati di potere”. Le indagini, continuano, hanno “certificato, altresì, il modus agendi e la rete relazionale di cui si avvantaggia…, composta prevalentemente da un nucleo di persone stabilmente inseriti nella vita pubblica e privata con legami radicati nel mondo politico-istituzionale che operano nel contesto simbiotico di un reciproco tornaconto personale”. Le conclusioni della Digos di novembre 2022 non devono aver convinto i pm che a marzo 2023 hanno indagato D’Alema e altri, retrodatando l’iscrizione al 30 settembre 2022. A giugno 2023 poi sono scattate le perquisizioni. Contattato ieri dal Fatto, il legale di D’Alema, l’avvocato Gianluca Luongo, ha solo ribadito che da subito l’ex premier ha chiesto di essere interrogato, ma finora non è stato convocato.
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