L’inesorabile montare del mare nero di Fukushima è una tragica cristallizzazione della nostra memoria. Del resto, gli incidenti nucleari gravi non si esauriscono: così fu per Chernobyl, lo stesso accadrà con Fukushima. La conferma, se mai ce ne fosse bisogno, è arrivata in questi ultimi giorni: dodici anni dopo l’incidente che lasciò il mondo con il fiato sospeso, il Giappone ha cominciato lo sversamento nell’Oceano Pacifico dell’acqua utilizzata per il raffreddamento della centrale, travolta dal terremoto-tsunami del 2011. Questo perché lo spazio di stoccaggio è in via di esaurimento. Si tratta di 1,34 milioni di tonnellate di acque contaminate, l’equivalente di oltre 500 piscine olimpioniche, che saranno gradualmente rilasciate a un chilometro dalla costa. L’operazione durerà decenni, si stima circa 40 anni, perché nel frattempo si accumulerà altra acqua di raffreddamento, non sappiamo quanta, che andrà a sua volta smaltita.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica questa operazione è la “meno dannosa” delle opzioni possibili e le autorità nipponiche assicurano che non c’è alcun rischio per l’ambiente: il trattamento delle acque avrebbe eliminato la maggior parte degli elementi radioattivi. Ma non tutti. Resta per esempio il trizio, un isotopo dell’idrogeno difficile da separare dall’acqua. E sul tema ci sono opinioni diverse. In un documento pubblicato a dicembre 2022, gli esperti Usa del National Association of Marine Laboratories, organizzazione che riunisce un centinaio di istituzioni scientifiche americane che si occupano di ambiente marino, hanno espresso la loro contrarietà allo sversamento nell’Oceano di acqua radioattiva perché “mancano dati scientifici adeguati a sostegno delle tesi del Giappone sulla sicurezza dell’operazione”.
È certo che questa azione si aggiunge a una serie di altre azioni umane che stanno mettendo sempre più sotto stress la biodiversità marina: dalla pesca eccessiva all’inquinamento dovuto a rifiuti di ogni genere, dalla plastica agli idrocarburi, che si riversano in mare quotidianamente.
Quanto sta accadendo a Fukushima non ha precedenti e dunque resta un fattore di incognita. Cosa accadrà veramente nel mare di quelle aree? Intanto ci saranno inevitabili ripercussioni sul mercato delle esportazioni ittiche giapponesi: i primi a esserne sicuri sono i pescatori della regione interessata allo sversamento delle acque che stanno protestando da giorni. Ma non possono essere previste le conseguenze sul resto degli Oceani. Gli sversamenti potrebbero avere un impatto anche sulle acque lontane dal Giappone. Ricordiamo che esiste un diritto sancito dal Consiglio dei diritti umani ad avere un ambiente pulito, sano e sostenibile.
Anche questi sono i costi occulti del nucleare, ai quali spesso non si pensa. Come alle ingenti spese che occorrono per lo smantellamento di centrali obsolete, operazione tra l’altro molto complessa. Per non parlare dei gravissimi problemi di sicurezza in caso di attacchi terroristici o conflitti, come ci dimostra il caso dell’impianto di Zaporizhzhia, il più grande d’Europa, messo quotidianamente a rischio nella guerra tra Russia e Ucraina.
Per questo riteniamo che, nell’ottica di una riduzione dell’energia prodotta da fonti fossili, sia da escludere la costruzione di centrali di vecchio tipo a fissione nucleare, ma debba essere presa in considerazione solamente l’ipotesi di realizzazione di centrali nucleari di nuova generazione, in grado di produrre energia con la fusione nucleare, cioè quella stessa energia che alimenta il sole e le altre stelle.
La strada verso un nucleare pulito è però ancora lontana. Per questo pensiamo che tutti i Paesi debbano concentrare gli sforzi economici e scientifici per accorciare i tempi necessari allo sviluppo di questa nuova tecnologia: esattamente come abbiamo agito per contrastare la crisi sanitaria ora dobbiamo muoverci per fronteggiare quella ambientale. Nell’attesa l’unica soluzione percorribile per un’economia sostenibile resta quella di rivolgerci verso fonti di energia rinnovabili e pulite: sole, mare, vento.