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Domenico De Masi, dalle proteste degli ex percettori di reddito di cittadinanza fino alle miserie di Caivano, Napoli e il Sud sembrano sempre più abbandonati e marginali.
È vero, ma è una marginalità che parte da molto lontano. Ricordo un discorso di Mussolini a Matera, negli anni Trenta. Elogiava i lucani per il record di natalità, perché “i popoli dalle culle vuote” non servono “all’Impero”. E poi annunciava l’obiettivo che voleva affidare al Sud nel suo insieme: far migrare i meridionali in Africa per popolare le colonie. Questa era l’idea del fascismo per il Mezzogiorno, da lì in poi, non è andata meglio.
La situazione attuale è il risultato di precise strategie pubbliche?
Il Sud è servito essenzialmente a fornire braccia al resto d’Italia. Ci sono stati i trent’anni “keynesiani” del dopoguerra, gli unici in cui lo Stato ha provato a migliorare concretamente le condizioni del Sud, con interventi come la riforma agraria, la cassa per il Mezzogiorno e altri impegni economici massicci. Tutto finì negli anni 80 con l’arrivo del neoliberismo: da allora si sono succeduti governi, di destra e di sinistra, grazie ai quali chi era forte diventava sempre più forte e chi era debole sempre più debole. Per fare due esempi: si è speso per Malpensa molto più che per tutti gli aeroporti meridionali messi insieme e anche la differenza di investimenti nelle infrastrutture ferroviarie è stata imbarazzante.
Le diseguaglianze nella distribuzione dei fondi Pnrr, l’autonomia di Calderoli, l’eliminazione del reddito di cittadinanza: il governo attuale vuole dare il colpo di grazia?
Sono arrivati solo provvedimenti punitivi. Per me è una sorpresa, lo confesso. Pensavo che Meloni si rifacesse a una visione sociale dell’economia e che fosse legata all’idea di un’economia di Stato, più che di mercato. Invece si sta dimostrando la più neoliberista dei premier che abbiamo avuto negli ultimi anni. Persino più di Letta, Monti o Draghi. Il principale bersaglio sono le classi povere e la visione di questa destra sembra suggerire che la povertà sia quasi una colpa. Una cultura weberiana, protestante, che contrasta con la visione cristiana alla quale, bene o male, il fascismo e i neofascisti si sono sempre rifatti.
Ma cosa manca al Sud per emanciparsi?
Classi dirigenti che sappiano fare il proprio lavoro, che abbiano capacità organizzative. Prendiamo la Campania: una Regione fertilissima, al centro del Mediterraneo e della rete di comunicazione dei mercati; ha una ricchezza naturale sconfinata, bellezze e capolavori storici inauditi, 5 milioni di abitanti, sette università, eppure regredisce in tutti gli indicatori socio economici. È governata da una classe politica che amministra lo Stato in modi paramafiosi, una camarilla di persone prevalentemente incapaci, che gestiscono in modo minuzioso i micropoteri in ogni territorio, lasciando intatti i problemi storici.
Meloni ha annunciato che andrà a Caivano.
Non so cosa potrà dire. Quello che è successo lì è la punta più violenta di una follia collettiva, che però riguarda anche il Nord. Qui naturalmente è declinata in versione meridionale: non può sorprendere che sia coinvolta la Camorra. Queste persone respirano in casa, in famiglia, l’idea di potersi impossessare di tutto, anche dei corpi. Le tre grandi agenzie di socializzazione sono in condizioni fallimentari: la famiglia, la scuola e i media. Ognuno ha le sue responsabilità e tutte hanno dato forfait. Un grande scrittore brasiliano ha scritto che il sottosviluppo, una volta che si materializza, non se ne va più. Salvare il Sud sarà difficilissimo, bisogna lavorare sulla cultura e sul rapporto tra ricchi e poveri, che è sempre più sbilanciato.
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