Il Fatto di domani. Caivano e alluvionati: le passerelle (inutili) di Meloni, i flop dello sbiadito Figliuolo. Consumi e investimenti al palo, quanto la frenata del pil (e dell’economia) peserà sulla manovra d’autunno

Di FQ Extra
1 Settembre 2023

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MELONI IN PASSERELLA: CAIVANO E LA ROMAGNA ABBANDONATA DOPO L’ALLUVIONE. IL COMMISSARIO FIGLIUOLO HA PERSO IL TOCCO MAGICO. La premier a Caivano ha giurato: “Nessuna passerella, qui per risolvere i problemi”. Peccato che anche durante la visita in Emilia Romagna con Von der Leyen, il 25 maggio scorso, Giorgia Meloni aveva promesso a imprese e cittadini l’aiuto del governo. Da quel momento – archiviata la “sfilata” – è sparita, malgrado la disperata richiesta degli enti locali: “Fondamentale che la presidente del Consiglio torni in Romagna – ha dichiarato il sindaco di Ravenna Michele De Pascale (del Pd) – Temo che non sempre le vengano riferiti correttamente i fatti e il merito delle nostre proposte”. Per i sindaci e il presidente della Regione Stefano Bonaccini l’unico interlocutore è il commissario straordinario Paolo Figliuolo, che non sa che pesci prendere. Il generalissimo, caduto il nume protettore Mario Draghi (che gli aveva affidato la campagna vaccinale in era Covid) sembra aver smarrito i poteri taumaturgici. Ieri, durante l’incontro di Bologna con i primi cittadini e il governatore dem a chiedere denari per imprese e famiglie alluvionate, Figliuolo non ha neppure dato una data per l’arrivo dei ristori. La linea del governo è chiara: prima le perizie sui danni dell’alluvione, poi i soldi per i privati. Così, i cittadini attenderanno anni prima d’incassare gli aiuti. Nelle casse del Commissario ci sono 1,2 miliardi da spendere: 550 milioni sono destinati ai comuni e alla regione come rimborso per gli interventi urgenti; 30 sono stati spesi per gli ammortizzatori sociali delle imprese che hanno sospeso l’attività. I sindaci e Bonaccini premono per avere subito, prima delle perizie, almeno una parte dei ristori. Non è detto che Meloni, dopo la passerella romagnola di fine maggio, allenti i cordoni della borsa. Sul Fatto di domani vedremo tutte le promesse mancate della premier.


LA PACCHIA È FINITA: LA FRENATA DEL PIL GELA I PIANI DEL GOVERNO. Consumi interni al palo e un drastico calo degli investimenti. Risultato? Un peggioramento delle previsioni di crescita. Mentre si comincia a parlare di manovra di Bilancio l’Istat regala l’ennesima brutta notizia a Giorgia Meloni che – lo ricordiamo – è salita a Palazzo Chigi con previsioni di Pil positive (nel def il governo immaginava un +1% per l’anno e comunque l’indice era positivo), buoni numeri sull’occupazione e inflazione più bassa, mitigata anche dalle misure di contenimento dei precedenti governi. Oggi invece il Pil del secondo trimestre è scivolato del -0,4% (il primo trimestre era al -0,3%), peggio dei principali partner esteri, dove si registra una crescita dello 0,6% negli Stati Uniti, dello 0,5% in Francia e stabile in Germania, solo per fare qualche esempio. Numeri che arrivano dopo la doccia fredda sull’occupazione di ieri (disoccupazione al 7,6%), l’inflazione che continua a galoppare anche se meno forte di prima (ma il carrello della spesa è su del 9,6%). Per non parlare della frenata della produzione industriale e il crollo del 7,5% dei salari reali. Un paese che soffre, quindi, e che risente anche della cancellazione del superbonus, dei ritardi del Pnrr e dei tagli alla protezione sociale (vedi stop al reddito di cittadinanza). Un guaio per il governo alle prese col reperimento delle risorse per disegnare la Manovra d’autunno. “Meloni raccoglie quello che ha seminato”, è il commento del leader 5S Giuseppe Conte su Facebook. Dal Pd, Antonio Misiani invita la destra “a fare i conti con la realtà” nella prossima manovra di bilancio. Sul Fatto di domani ci occuperemo dei numeri, ma vedremo anche come sta andando il lancio del portale per chi ha perso il reddito di cittadinanza.


STRAGE DI BRANDIZZO, INDAGATI I DUE SUPERSTITI. SINDACATI: “NON ESISTE L’ERRORE UMANO, SOLO AZZARDI PER RISPARMIARE”. “Dalle prime indagini emergono gravi violazioni della procedura di sicurezza al momento dell’incidente”, aveva detto stamattina la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, che dirige le indagini sul disastro ferroviario in cui sono morti 5 operai nella notte tra il 30 e 31 agosto a Brandizzo nel Torinese. E oggi nel fascicolo aperto per disastro ferroviario e omicidio plurimo colposo sono stati iscritti i primi due indagati. Sono i due superstiti. Uno è il capocantiere della Sigifer, la società per cui lavoravano le vittime, Andrea Girardin Gibin, e l’altro è il responsabile di Rfi del cantiere, che si trovava sull’altro binario al momento dell’impatto con il treno, Antonio Massa. Secondo l’accusa, avrebbe dato il via libera per i lavori senza aver ricevuto il nulla osta. Ci sarebbero state infatti importanti violazioni dei protocolli per il rilascio delle autorizzazioni per quelle manutenzioni. Che peraltro dovrebbero essere messe per iscritto e che spesso non lo sono, come ha rivelato un tecnico di Rfi a Marco Grasso sul Fatto di oggi. . Per la pm Viglione, quanto accaduto ha reso palese l’insufficienza delle garanzie per chi esegue lavori così rischiosi. Su questo punto i sindacati sono andati da subito all’attacco del governo, e anche i meccanismi nocivi di subappalto che fanno risparmiare le ditte e mettono a rischio chi ci lavora. La Cisl ha chiesto di smettere di appaltare la sicurezza della rete ferroviaria a imprese esterne e chiesto fondi al governo, la Fiom (i lavoratori Cgil di Rfi si sono fermati in sciopero per 4 ore oggi) ricorda, con il segretario torinese Edi Lazzi, che “l’errore umano non esiste. È il moral hazard che spinge le imprese per velocizzare i processi produttivi e tagliare i costi a bypassare i sistemi di sicurezza. Nelle fabbriche, soprattutto quelle dove il sindacato non c’è, per fare più in fretta si disattivano i dispositivi di sicurezza”. Lunedì sono state indette 8 ore di sciopero e un corteo unitario a Vercelli. Sul Fatto di domani i nostri aggiornamenti sull’inchiesta.


GUERRA IN UCRAINA, ZELENSKY: “SENZA CRIMEA E DONBASS NON POTRÀ ESSERCI PACE”. PODOLYAK: “RAID SULLA RUSSIA AUMENTERANNO”. MOSCA ATTIVA I MISSILI INTERCONTINENTALI SARMAT. “Senza la Crimea, senza il Donbass e senza i territori occupati non ci potrà essere una pace sostenibile in Ucraina e quindi neppure nell’area europea”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky oggi, intervenendo in video collegamento al Forum Ambrosetti di Cernobbio. E su un possibile dialogo con il presidente russo, Zelensky ha aggiunto: “Se è vero che Putin ha ucciso Prigozhin, e stiamo ancora aspettando conferma, ci sta ulteriormente mostrando la sua debolezza. La promessa di certe garanzie a Prigozhin e poi la sua uccisione significa quanto deboli siano le parole di Putin. È impossibile negoziare con Putin perché non riesce a mantenere le sue stesse promesse”. A proposito dello “Zar”, ieri Putin ha incontrato gli studenti per il loro primo giorno di scuola: “La Russia è invincibile”, ha detto il leader. Resta aperta la questione dei crimini sui minorenni in seguito all’invasione; Yulia Usenko, capo del dipartimento della Procura generale, in un’intervista esclusiva a Interfax-Ucraina ricorda che “Kiev ha aperto più di 3.000 procedimenti penali per presunti crimini della Russia contro i bambini, tra cui dozzine di casi di tortura”. I reati ipotizzati includono “omicidi, mutilazioni, rapimento di bambini, sfollamenti forzati, deportazioni, violenza sessuale”. Sul campo di battaglia, le forze di Mosca hanno migliorato le posizioni nella regione di Kupyansk. L’esercito ucraino invece ha continuato le operazioni di controffensiva vicino a Bakhmut, nell’oblast di Donetsk, e nell’oblast di Zaporizhzhia, anche se la versione del Cremlino è che in quella regione ogni attacco è stato respinto. Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, John Kirby ritiene che “Kiev abbia centrato diversi successi nelle ultime 72 ore”. Sui raid in territorio russo, il portavoce ucraino Podolyak avvisa: “Gli attacchi sulla Russia aumenteranno”. Mosca risponde decidendo di mettere in modalità di combattimento il sistema missilistico Sarmat. Lo ha confermato all’agenzia Ria Novosti il capo dell’Agenzia spaziale russa (Roscosmos), Yuri Borisov. Si tratta di missili intercontinentali che possono trasportare testate atomiche. Sul Fatto di domani leggeremo altri particolari sul conflitto, i raid ucraini sulla Russia, e le novità sul fronte asiatico rispetto alla Cina e le sue rivendicazioni territoriali nel Mar cinese meridionale.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Recovery, gli Stati europei snobbano 93 miliardi di prestiti. Dopo la scadenza di ieri per presentare modifiche ai piani nazionali di ripresa e resilienza e per gli investimenti energetici del RePowerEu, rimangono 93 miliardi di prestiti non richiesti che la Commissione non raccoglierà sul mercato.

Ucciso per un parcheggio a Napoli, confessa il 16enne che ha sparato. “Non volevo uccidere nessuno, mi sono solo difeso quando ho visto l’altro ragazzo venire verso di me con tono minaccioso”. Questa la giustificazione del giovane fermato per l’omicidio del 24enne musicista Giovanbattista Cutolo, che ha confessato. Ha precedenti, domani l’udienza di convalida dell’arresto.

Venezia 80, oggi Costanzo e Lanthimos. Il secondo film italiano in concorso a essere presentato al Lido è Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, sull’omicidio di Wilma Montesi, primo caso di omicidio mediatizzato risalente al 1953. Sempre oggi Yorgos Lanthimos ha presentato la sua attesa rivistazione di Frankenstein: Poor Things, tratto dall’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Gray.


OGGI LA NEWSLETTER IL FATTO INTERNAZIONALE

Dal Donbass nel 2014 alla galera di oggi: Girkin, il fuciliere da tastiera purgato da Putin

di Michela A.G. Iaccarino

Igor Girkin non sta mai zitto, neppure in carcere, e trasforma pure la gabbia di vetro in tribuna politica. Ha detto di quello che l’ha voluto in galera: “È troppo gentile”. Girkin conosce pure uno che potrebbe prendere il posto di Putin: “Io sarei un presidente migliore”. In effetti Strelkov – questo il suo nome di battaglia, che vuol dire tiratore, fuciliere – “il ministro della Difesa”, ma solo tra virgolette, perché auto-proclamato, l’ha già fatto, nella città-stato di Slavyansk, la prima a cadere nel 2014. Anche per questo, ha detto candidandosi a guidare la Russia alle elezioni di marzo, ha più competenza negli affari militari sia del capo di Stato che di quello del dicastero della Difesa, Sergey Shoigu. Alle urne 2024 può battere Putin sotto ricatto degli oligarchi: “Ha molti amici miliardari e uomini d’affari a cui non può rifiutare nulla”. E poi cede agli inganni del blocco nemico da otto anni, si fa prendere in giro “dall’Ovest, dall’Ucraina, dalle agenzie di sicurezza russe”: “infine è stato chiaro che né il Paese, né l’esercito, né l’industria russa erano pronti per la guerra, continuano a stupirci con la loro incompetenza”.

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