Come sconfiggere la violenza di genere?
Questa domanda ci viene rivolta spesso e altrettanto spesso la facciamo a noi stesse. Pur essendo il Telefono Rosa e occupandoci di questo ogni giorno, da ormai 35 anni, non abbiamo purtroppo la bacchetta magica.
Iniziamo dicendo per l’ennesima volta che la violenza è una questione culturale che si alimenta di stereotipi, odio, sessismo e potere. Il primo passo, anzi il fondamentale, è distruggere la cultura maschilista e patriarcale che in Italia è ancora ben radicata, seppure abbellita da discorsi politicamente corretti e dalle sfumature femministe. Questa cultura qui è dovunque, nelle nostre case, negli uffici e nei luoghi di lavoro, nel nostro gruppo di amici e amiche, a scuola e all’università, negli ambienti di svago e purtroppo serpeggia anche tra gli organi di informazione. Noi donne, nonostante i grandi sforzi compiuti, siamo sempre meno degli uomini e nel peggiore dei casi siamo un oggetto da possedere. Ma la cultura di cui parliamo è anche nelle aule di tribunale.
Lo dimostra l’ultima richiesta apparsa sui media che ci è arrivata addosso come una doccia gelata. Una donna denuncia nel 2019 il marito per violenza psicologica e fisica, insomma botte e insulti continui. Il pm del Tribunale di Brescia chiede l’assoluzione dell’uomo. Ecco la doccia fredda, leggiamo la notizia e non capiamo. Arriviamo alla motivazione, il pm scrive: “I comportamenti dell’imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine”. Per farla breve, se picchi tua moglie vieni assolto perché per la tua cultura la donna vale meno di zero. Quello che sconvolge è che sia successo qui in Italia, Paese in cui ci sono leggi a sostegno delle donne e dove queste dovrebbero essere applicate nell’ottica di una società in cui esiste rispetto e parità di genere.
E allora in questa doccia fredda affoghiamo, impotenti davanti a un fatto così grave. Abbiamo ingoiato la sentenza della donna che non può subire molestie, perché complessata per il suo aspetto fisico, e anche quella del bidello assolto perché il palpeggiamento alla studentessa è durato solo pochi secondi. Adesso questa. I bocconi amari non riusciamo più a farli scendere. Così la cultura citata sopra si alimenta e ingrassa proprio nelle aule di tribunale e per noi combatterla è più complicato. Le leggi ci sono, lo sappiamo. Ora è stato rafforzato anche il Codice Rosso che dovrebbe tutelare maggiormente le donne, ma non basta. Nessuno ha pensato di investire nella formazione e nell’educazione. Questi sono gli strumenti per rispondere alla domanda che come Telefono Rosa ci viene posta sempre. Una formazione capillare e obbligatoria non solo per le forze dell’ordine, ma anche e soprattutto per i magistrati, gli avvocati, gli operatori e assistenti sociali. Insomma per tutti coloro che sono all’interno della rete che si occupa di violenza. Questo andava inserito nel Codice Rosso. Ma per farlo servono fondi e ci sembra che ne siano stati stanziati pochissimi, o forse nessuno.
Non abbiamo la bacchetta magica, ma abbiamo gli strumenti per agire.
Sentenze come queste portano le donne a non denunciare perché non si sentono protette e diventano un pregresso pericoloso che lancia messaggi devastanti. Insieme alle leggi allora mettiamo in pratica altri metodi, facciamolo tutti insieme e dai tribunali passiamo alle scuole, educando i giovani e le giovani e poi andiamo negli ospedali e nei diversi luoghi di lavoro. Sensibilizziamo e approfondiamo il fenomeno della violenza. L’unica cultura da normalizzare è quella che rispetta le donne e le considera al pari degli uomini, il resto è sempre da condannare e non certo da giustificare.
Come Telefono Rosa richiediamo l’intervento del Csm affinché non ci siano più simili richieste che mandano messaggi contrari e contrastanti rispetto all’impegno e al lavoro quotidiano nella lotta alla violenza di genere.
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