Punto primo: “Aiutare i migranti è un principio inderogabile”. Secondo: “I blocchi navali? Quando sei all’opposizione si usano toni alti, ora ci sono responsabilità di governo e si è cambiato registro”. Terzo punto fermo: “Il problema è europeo e c’è bisogno dell’impegno di tutti. Qui invece, nonostante le parole del segretario generale dell’Onu, gli altri continuano a fare orecchie da mercante”. Giuseppe Marchionna oggi ha 70 anni ed è tornato a fare il sindaco di Brindisi da due mesi. Scelto, candidato e supportato da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Eppure non ha cambiato idea rispetto a 32 anni fa, quando – durante la sua prima esperienza alla guida della città con il Psi – gestì a mani nude l’esodo degli albanesi. Era il 7 marzo 1991 e a Brindisi ne arrivarono 25mila in un giorno: “Tutti ricordano la Vlora a Bari, ma cinque mesi prima affrontammo la prima vera emergenza in una città molto più piccola. E lo facemmo da soli”. Oggi Marchionna guarda Lampedusa e rivede Brindisi: i migranti ammassati al porto, la fuga dalle zone nelle quali vengono temporaneamente accolti, gli abitanti che si mobilitano per dare una mano di fronte a donne e uomini senza neanche un bicchiere d’acqua, la risposta lenta dello Stato. Nel 1991 il capoluogo di provincia rischiò di ritrovarsi con una guerra civile nelle strade. Era la capitale del contrabbando e c’erano decine di migliaia di disperati nelle strade. Bastava una scintilla a far scoppiare l’incendio.
Invece lei alle 9 del mattino registrò un messaggio affidato a tutte le radio locali e la città risposte aprendo le case. “Hanno solo fame e freddo, aiutateli”, disse all’epoca. Quel principio vale anche oggi?
È inderogabile, a prescindere dal contesto che è sicuramente diverso. Chi è a Lampedusa sta facendo il massimo possibile, oggi come allora. In questa condizione eccezionale servirebbe una risposta altrettanto eccezionale. È complicato, ci sono passato.
Nel 1991 lo Stato latitò per giorni. Il vice presidente del Consiglio Claudio Martelli alla fine fece mea culpa: “Nelle emergenze questo Stato è vecchio, lento e asmatico”, disse una volta arrivato a Brindisi. A vedere le immagini di Lampedusa non sembra essere cambiato molto.
Sono istantanee sconvolgenti per l’opinione pubblica. All’epoca non esisteva la Protezione Civile e fummo presi di sorpresa, anche se era chiaro che alla prima bonaccia sarebbero arrivati in migliaia dalle coste albanesi. Oggi il vero problema è attrezzare un meccanismo di trasferimento rapido, che è molto complicato. Le procedure sono concordate a livello europeo e rallentano molto i processi. Pochi giorni fa a una nave ong è stato assegnato Brindisi come porto, a bordo c’erano 150 persone. Tra fotosegnalamento e controlli, lo sbarco è iniziato alle 9 di mattina ed è terminato alle 17. Nel frattempo non possono essere spostati dalla banchina. Ecco, mi chiedo: se ci sono volute otto ore per 150 migranti, quanto ci vorrà con 7mila?
Le similitudini tra Brindisi e Lampedusa finiscono qui?
All’epoca c’era sicuramente maggiore solidarietà perché era la prima crisi migratoria. Oggi, come dice la presidente del Consiglio, il problema va affrontato alla radice: bisogna evitare le partenze dai Paesi del Sahel. Serve un approccio internazionale e, soprattutto, non coloniale come in passato.
È quello che il governo continua a sbandierare come il Piano Mattei, insomma.
L’idea di Giorgia Meloni è chiara fin dall’inizio ed è un’ispirazione che condivido. Ma in quei Paesi esiste una serie di questioni non italiane e nemmeno solo europee, viste le influenze e le ingerenze di Russia e Cina. Il contesto geopolitico complica tutto.
Soprattutto i risultati si vedrebbero tra decenni. Intanto gli sbarchi continuano. Come ci si comporta?
Lo ha detto anche il segretario dell’Onu Guterres: il problema è europeo. C’è bisogno di collaborazione. Un’Unione sempre più stanca e con sempre maggiore denatalità dovrebbe essere più lungimirante: esiste un tema di diritti umani da rispettare e dall’altro lato c’è un interesse legato ai lavoratori che mancheranno sempre di più. Bisogna evitare che questi massicci flussi migratori diventino un ulteriore problema nel cuore del continente.
I partiti di governo fino a un anno fa parlavano di blocchi navali. Altri toni, altra narrazione. Non trova?
Sono d’accordo, è indiscutibile. Un fenomeno di queste proporzioni, del resto, non si può fermare con azioni repressive. Ma è altrettanto indiscutibile che una volta arrivati al governo hanno cambiato approccio. (L’intervista è stata realizzata prima delle frasi di Salvini, ndr) È chiaro che se sei all’opposizione, in qualche maniera, puoi alzare i toni. Ora ci sono delle responsabilità e mi pare che si stia decisamente lavorando in maniera diversa. Ma non possiamo fare tutto da soli. E invece, dal mio punto d’osservazione periferico, mi pare evidente che uno dei più grossi problemi per iniziare a collaborare sia l’ostruzionismo francese. Cioè quello di un Paese che ha responsabilità storiche in Africa, ha gestito male l’integrazione nelle banlieue e ora fa anche orecchie da mercante di fronte ai flussi migratori che ci investono per ragioni geografiche perché, è sempre bene ricordarlo, l’Italia è un Paese di transito per la maggior parte di coloro che sbarcano sulle nostre coste.
Nel frattempo, la prima gestione spetta all’Italia. Molti suoi colleghi, anche di centrodestra, lamentano mancanze di risorse e organizzazione dopo il decreto Cutro.
Ci sono alcune cose sicuramente da definire. Per esempio era circolata la voce che Brindisi sarebbe stata coinvolta per ospitare un hotspot dentro una ex base Usaf. Ma noi lì abbiamo un progetto di sviluppo turistico, lo abbiamo fatto presente e l’opzione è tramontata. C’è un commissario ad acta al lavoro per il piano nazionale di ripartizione ma continuo a ripetere che va inserito in un serio, lungimirante e fattivo piano europeo. Invece, fuori dai nostri confini, continuano a opporre veti.
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