“Giorgia, la prego, ci aiuti: faccia rientrare Anna in Italia. Anche oggi mi ha chiamato per dirmi che vuole tornare da noi”. Maria Cavallaro piange al telefono mentre ci racconta di Anna – usiamo un nome di fantasia – e, attraverso il Fatto chiede alla premier di intervenire per farla rientrare dall’orfanotrofio ucraino dove è stata rimpatriata il mese scorso. Ci mostra alcuni video che Anna le manda di nascosto: “Ti voglio bene mammina mia. Grazie di tutto. Io voglio tornare da te. Qui mi trattano male”. E ti si stringe il cuore.
Anna è una ragazzina paffutella di 15 anni. Ha un handicap alla gamba. Era arrivata a Catania un anno e mezzo fa. Non voleva tornare nel suo Paese in guerra. Non voleva tornare in orfanotrofio. Maria l’ha vista andar via il 10 agosto. “Andiamo Anna?” le ha chiesto la sua tutrice. La ragazzina ha preso la valigia per infilarsi nell’auto, dove erano già seduti due bambini. “Quando mi ha visto piangere è scesa dall’auto per abbracciarmi”, racconta Maria. “E ha iniziato a piangere anche lei”. Poi tre giorni di viaggio in autobus. Maria ci mostra le fotografie di 10 ragazzini in pullman e poi in traghetto. Hanno creato un chat e l’hanno chiamata “i cuccioli in viaggio”. E le hanno inviate alle famiglie che li hanno accolti fino a qualche giorno prima, C’è una bimba di sei, sette anni, frangetta bionda, maglietta bianca e pantaloncini jeans. Un bimbo che crolla dal sonno appoggiato al finestrino. Potresti dire che sono in gita, se non sapessi che sono tutti orfani, minorenni, e che per diciotto mesi avevano trovato una famiglia che si occupava di loro. Ora tornano in un istituto e in un paese in guerra. E vedi tutta la loro forza, nei loro abbracci. La forza dei bambini. Gli abbracci di chi condivide lo stesso destino.
Anna non voleva tornare in Ucraina. “In tribunale” dice Maria “l’ha spiegato chiaramente. Ma la tutrice ha detto che doveva ricongiungersi con sua sorella e l’hanno fatta partire. Io non avevo abbastanza soldi per pagare le spese legali e non ho impugnato il provvedimento. Ma adesso sto male. Non posso accettare che sia tornata in un Paese in guerra e in un orfanotrofio dove non vuole stare”. Che Anna voglia rientrare lo testimoniano i suoi video messaggi inviati a Maria, sempre di nascosto, perché ha paura di essere scoperta e punita. Ed è già sufficiente a spiegare che non dovrebbe essere lì. Adesso le famiglie affidatarie di altri orfani minorenni, per i quali è stato disposto il rimpatrio, e che l’hanno impugnato, hanno promesso di aiutarla: “Faranno una colletta per me”, racconta Maria. “Pagheranno un avvocato che ci aiuti e anche le spese per il rientro. Se sarà possibile”.
La storia di Anna è una delle tante che il Fatto sta denunciando in questi giorni e che in parte (ma non è il suo caso) sono confluite nel fascicolo d’inchiesta che a Catania vede indagata Yulia Dinnichenko, la tutrice nominata dal console ucraino, per violenza e minacce ai danni di alcuni minori: reati che si sarebbero consumati, secondo l’accusa, almeno per due bambini.
“Anna è una ragazzina di appena 15 anni” racconta Maria “ed è arrivata qui quando ne aveva 13. Ha un’invalidità a una gamba e si era affezionata tantissimo a noi. Io l’accompagnavo a scuola tutti i giorni, perché da sola, l’autobus, non poteva prenderlo. Sono riuscita a farle ottenere un insegnante di sostegno a scuola. Con noi era serena. Poi ad agosto, la signora Yulia mi ha chiamato per dirmi che la portavano via”. Maria ci fa leggere un documento – “L’ho inviato alla tutrice e anche al tribunale”, spiega – con il quale, poco prima della partenza, chiede la sospensione del rimpatrio: “Anna è attualmente in preda a un grande sconforto, con frequenti e inarrestabili crisi di pianto, e sta confermando di non voler far ritorno in Ucraina fino a quando la guerra non sarà cessata. […] Inoltre la situazione sanitaria della minore preclude il suo ritorno in un Paese impegnato in guerra. Noi coniugi Messina Antonio e Cavallaro Maria confermiamo di voler continuare ad accogliere Anna fino alla fine del conflitto, impegnandoci a favorire il suo rientro in Ucraina, non appena il conflitto sarà cessato”. Niente da fare. Anna è partita.
“La sento tutti i giorni” continua Maria, “mi chiama con l’applicazione Telegram, perché non ha un scheda telefonica, ma si aggancia al wifi. Mi chiama di nascosto. Piange. È anche dimagrita. Non vuole stare lì. Qui era protetta. Lì c’è una guerra. Aveva dichiarato in tribunale che non voleva partire. Perché è partita? Adesso cosa si può fare? Lo chiedo pubblicamente a Giorgia Meloni: ci dia una mano. La faccia rientrare”.
Sono circa un centinaio i minori che, soltanto a Catania, potrebbero trovarsi nelle stesse condizioni di Anna. In Italia sono 4.512 e molti di loro, con un’età tra i 15 e i 17 anni, potrebbero ritrovarsi presto con una divisa ed essere inviati al fronte. Finora la politica ha finto di non vedere. S’è mossa soltanto la Procura di Catania che, oltre ad agire sul piano penale, sta bloccando i rimpatri in sede civile. In caso di conflitto tra il minore, che non vuole rientrare in patria, e il tutore, la legge prevede infatti che a decidere sia un curatore speciale. Il punto è che il curatore speciale è stato nominato dal console ucraino e la Procura, denunciando l’evidente conflitto di interessi, ha chiesto al Tribunale di bloccare la pratica e affidarla a una figura che sia realmente imparziale.
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