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MIGRANTI, LA VENDETTA DI PIANTEDOSI. DA SINDACI E GOVERNATORI ALTOLÀ AI NUOVI CENTRI. Il messaggio è a colui che su quella poltrona l’ha piazzato, e pure alla premier, che nelle ultime settimane di fatto lo aveva esautorato dal suo ruolo: Matteo Piantedosi s’è preso stamattina la sua rivincita. Intervenendo su Radio1, il ministro dell’Interno ha affermato che i 200 barchini partiti dall’area di Sfax “ci pongono l’interrogativo sulla capacità e talvolta anche sulla volontà piena della Tunisia di collaborare”. Eppure solo a metà agosto, seduto in silenzio accanto al sottosegretario Mantovano, lo aveva sentito dire che l’accordo con Tunisi cominciava “a dare i primi risultati”. E, rispetto alla “presunta regia” dietro gli sbarchi record evocata da Salvini, Piantedosi oggi ha sostenuto di non avere prove per dimostrarlo. Due colpi che la dicono lunga sul clima interno alla maggioranza, che ieri ha partorito l’ennesimo provvedimento restrittivo: nuovi Centri di permanenza – uno per regione – e la possibilità di farvi rimanere gli immigrati per un massimo di 18 mesi. Una misura già adottata dall’allora ministro Maroni per quelli che si chiamavano Cie (oggi Cpr), che – come ha spiegato il garante dei detenuti, Marco Palma – non ha mai portato a un numero più consistente di rimpatri. Tra l’altro, governatori e sindaci sono già sul piede di guerra rispetto alla costruzione di nuovi centri. “Non darò l’ok a nessun Cpr in Toscana. Si stanno prendendo in giro gli italiani perché il problema dell’immigrazione è come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori”, ha dichiarato il presidente toscano, Eugenio Giani. Prende le distanze dal governo anche il governatore molisano, Francesco Roberti, eletto con la coalizione di centrodestra a giugno: “In Molise – ha detto – non abbiamo una struttura idonea da adibire a Cpr anche perché è indispensabile, da quanto ho capito, la recinzione. Questa storia non mi entusiasma soprattutto in una prospettiva di accogliere famiglie con bambini, che magari possono venire a vivere in pianta stabile nel nostro territorio, coinvolto da un fortissimo spopolamento”. Sul Fatto di domani vedremo se ha ragione Piantedosi a proposito della Tunisia, seguiremo la rivolta degli amministratori locali e intervisteremo Gianfranco Fini, che nel 2002 diede il nome, con Bossi, alla legge sull’immigrazione.
BONOMI E LA LAUREA SCARLATTA: IL TITOLO MILLANTATO DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA. Mentre comincia ad avviarsi la complessa macchina per la nomina del successore di Carlo Bonomi, il presidente uscente di Confindustria si ritrova ad aggiornare il curriculum, ma non perché stia cercando lavoro. Il problema è la riga che riguarda il titolo di studio. Come ha rivelato sul Fatto Fabrizio d’Esposito qualche giorno fa, infatti, Bonomi non è laureato, nonostante sui media sia stato regolarmente chiamato “dottore” e lui non abbia mai smentito il fatto di avere una laurea in Economia e commercio. Dopo lo scoop, anche la pagina Wikipedia sul presidente di Confindustria è stata modificata. Il problema è che Bonomi ambisce a entrare nel cda della Luiss, incarico che però richiede la laurea. Il consiglio dell’Università si riunirà il prossimo 8 ottobre per valutare la questione, ma l’Università è un ente privato quindi potrebbe scegliere di nominarlo comunque. Sul Fatto di domani leggerete altre novità sul caso.
STRAGE SUL LAVORO, TROPPO POCHI ISPETTORI PER CONTROLLARE LE AZIENDE. “1056 morti dall’inizio dell’anno, 688 di questi sui luoghi di lavoro. Ne mancano 67 per arrivare a contare gli stessi decessi dell’intero e orrendo 2022, l’anno scorso sono stati sui luoghi di lavoro 755”: basterebbe questo report dell’osservatorio di Bologna sulle vittime del lavoro per capire che si tratta di una vera emergenza a cui finora la politica non ha dato risposta. Basti pensare che dal 2008 al ’22 un esercito di 19.500 persone è caduto in incidenti legati al lavoro, per non parlare poi dei feriti. Un governo serio davanti a questa emergenza salterebbe dalla sedia, invece il nostro vuole tagliare le ore di formazione dei lavoratori proprio sul tema sicurezza. Mentre l’ispettorato è da sempre sguarnito di personale per controllare le aziende. Imprese che commettono anche un sacco di illeciti di altro tipo, vedi la cassa integrazione Covid nelle aziende della Santanchè, per fare un esempio. E, ogni volta che escono delle cifre, si parla di irregolarità nell’85% delle realtà produttive controllate. Sul Fatto di domani leggerete un resoconto impietoso sullo stato del nostro servizio ispettivo che, oltre ai morti, potrebbe recuperare decine di milioni di euro dalle irregolarità delle aziende. Ma vedremo anche come Paesi europei più attenti del nostro combattono – con buoni risultati – il fenomeno del lavoro nero.
GUERRA, IL NEW YORK TIMES: “IL MISSILE SUL MERCATO FU UN ERRORE UCRAINO”. BIDEN ALL’ONU: “NOI E KIEV VOGLIAMO LA PACE, LA RUSSIA NO”. IL PAPA SUL “RISCHIO NUCLEARE”. L’attacco missilistico del 6 settembre sul mercato di Kostiantynivka, nella regione del Donetsk, che causò almeno 16 morti, non sarebbe stato lanciato dai russi, ma fu un errore dell’esercito ucraino. Lo ha scritto il New York Times dopo aver passato in rassegna “frammenti di missili, immagini satellitari, resoconti di testimoni e post sui social media”. La notte precedente – hanno ricostruito i reporter – le forze russe avevano bombardato la cittadina e da allora infuriava una battaglia con bombardamenti incrociati. Nell’articolo, il quotidiano americano sottolinea che le autorità ucraine hanno impedito ai giornalisti di “accedere all’area dell’impatto nelle fasi immediatamente successive all’attacco”, ma gli inviati sono riusciti a raggiungere la zona e a raccogliere alcuni resti del missile. Sul piano diplomatico, il segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale russo, Nikolai Patrushev, ha confermato che in ottobre il presidente Putin sarà a Pechino per consultazioni con l’omologo Xi Jinping. In Cina è già stato il cardinale Zuppi che per conto del Vaticano sta cercando di ottenere il sostegno del Dragone per spingere Mosca al dialogo con Kiev. All’assemblea generale dell’Onu, a New York, il presidente americano Biden invita a non smettere di sostenere l’Ucraina: “La Russia crede che il mondo si stancherà e permetterà di brutalizzare l’Ucraina senza conseguenze. Ma vi chiedo questo: se abbandoniamo i principi fondamentali della Carta Onu per placare un aggressore, qualche Stato membro può sentirsi sicuro di essere protetto? Se permettiamo che l’Ucraina sia spartita, l’indipendenza di qualche nazione sarà garantita? La risposta è no”. Ed ha aggiunto: “Noi e Kiev vogliamo la pace, è la Russia a sbarrarle il cammino”. Anche il presidente Zelensky – che giovedì incontrerà al Pentagono il ministro della Difesa, Austin – ha tenuto un discorso, mentre Papa Francesco torna a sollevare l’allarme sul “mondo nella morsa di una terza guerra mondiale combattuta poco alla volta e, nel tragico caso del conflitto in Ucraina, non senza la minaccia di ricorrere alle armi nucleari”. Sul Fatto di domani leggeremo il resoconto dell’assemblea dell’Onu con i vari interventi e altri particolari sullo scoop del New York Times.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Pnrr, presto pagata la terza rata, approvata la quarta. Il Consiglio europeo ha approvato le modifiche al Piano italiano mirate alla richiesta di pagamento della quarta rata da parte del nostro Paese. La Commissione ha fatto sapere che adotterà presto la decisione finale sull’esborso della terza rata e fa sapere che “finora l’Italia ha rispettato il calendario del piano”, aggiunge il portavoce dell’esecutivo europeo.
Giorgio Napolitano è grave. Le condizioni di salute dell’ex presidente della Repubblica si sono aggravate. Napolitano ha compiuto 98 anni il 26 giugno.
Nagorno-Karabakh, I separatisti filo-armeni: “Aggressione dell’Azerbaigian: 5 morti e 80 feriti”. Le forze azere stamane “hanno violato il regime di cessate il fuoco lungo tutta la linea di contatto lanciando attacchi missilistici e di artiglieria”. Così l’Armenia denuncia l’attacco nell’area da tempo contesa; 5 morti e 80 feriti, 15 vittime tra i civili. Il ministero degli Esteri armeno ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e alle forze di pace russe di adottare misure per fermare il tentativo di sfondamento.
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Dopo la strage a Derna, così siccità e bombe d’acqua minacciano le dighe
di Riccardo Antoniucci
Il disastro di Derna deve spingerci a ripensare il sistema delle dighe? Se lo chiedono gruppi di ambientalisti in giro per il mondo, ragionando sul colossale disastro ha provocato la morte di almeno 4000 persone (e altrettanti dispersi) nell’est della Libia, con villaggi e città distrutte dall’esondazione di due dighe provocata da un evento climatico estremo: la tempesta Daniel. Tra gli ultimi interventi si può citare quello pubblicato sul New York Times dei due direttori della ong International Rivers, che negli Usa si occupa di protezione degli ecosistemi fluviali e delle comunità che li abitano, e un articolo uscito sulla rivista di clima ed energia dell’Università di Yale. Il problema è concreto ed è ben presente anche in Italia, al Ministero dei Trasporti e alle società che gestiscono impianti idroelettrici.
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