Settembre 1943. Una donna cammina di notte.
“Una pazzia. Con tanti pericoli in agguato, in una città sotto assedio, una donna sola sul lungomare di Napoli. Ma di tanto in tanto si accendeva in me un istinto di ribellione, che avevo represso quando avrebbe dovuto esplodere, e faceva sentire la sua voce, rendendomi capace di azioni impensabili in altri momenti”.
Cenzina – è questo il suo nome – non è solo la protagonista del romanzo La guerra non torna di notte, che per Solferino inaugura la collana Affreschi, ma è anche mia nonna.
Tra verità e finzione ho scelto di raccontare una storia familiare che risuona ancora dentro di me con la sua forza e ha un valore di testimonianza per le vicende storiche della città.
Cenzina, infatti, partecipò all’insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che liberò la città dall’oppressione nazista, insieme a migliaia di altre donne.
“Mogli che avevano perso i mariti, madri che attendevano qualche notizia dei figli al fronte. Tutte con lo stesso coraggio nelle mani e la stessa paura negli occhi”.
Alcune più note.
“Lenuccia Cerasuolo aveva solo vent’anni, gli occhi grandi e le mani piene di calli. Faceva l’operaia. Aveva radunato un esercito di gente comune che aveva raccolto armi e munizioni nelle caserme abbandonate dai tedeschi. Lenuccia aveva in corpo la voglia di vivere delle giovani donne della sua età, ma non aveva avuto paura. Voleva difendere la sua città, il quartiere dove era nata e cresciuta, il ponte della Sanità, diventato ormai un obiettivo, come tutte le infrastrutture crollate, a una a una, sotto il fuoco nemico”.
Altre dimenticate per sempre.
Il racconto della guerra ha accompagnato la mia infanzia. Soprattutto di sera quando la nonna, nei suoi “cunti”, rievocava le scene della fuga nei ricoveri, le macerie della città bombardata, la fame, i volti smarriti dei due giovani ebrei che per caso si ritrovarono a bussare alla sua porta per chiedere aiuto e lei non ebbe nessuna esitazione nell’accogliere, proteggere come se fossero figli, rischiando la vita.
La sua voce incedeva senza enfasi, non vantava nessun eroismo di sorta, vi si coglieva ancora la paura e la riprovazione per la violenza gratuita della guerra. I rastrellamenti dei tedeschi, le esecuzioni sommarie in una città atterrita ma ancora capace di alzare la testa.
Non si scorgeva orgoglio in quelle parole che per anni ho creduto di aver dimenticato.
Ma la storia di Cenzina e di sua madre, delle figlie Sofia e Anna, di Addolorata la moglie di Pietro, il portiere dello stabile in cui si svolge il nucleo centrale della vicenda, è anche una storia di tensioni intime e coraggiose rinunce riconducibile al processo di emancipazione femminile avviatosi proprio negli anni tra le due guerre e che simbolicamente sembra essere espresso nel romanzo dalla liberazione di Napoli.
Cenzina è un’orfana di guerra affidata allo zio benestante da una madre che ha il coraggio di farsi anche odiare per assicurarle un futuro migliore.
Cenzina è la donna che va incontro senza sottomissione a un destino già segnato. Come avveniva per le ragazze della sua generazione, qualcuno aveva scelto per lei il suo sposo.
Cenzina affronta con coraggio i fantasmi del passato. Diventa moglie e madre sacrificando il suo talento per la musica.
Con coraggio Cenzina dice no. Fa le sue scelte. Rischia in proprio insieme alle altre donne di Napoli che spingeranno gli uomini ad affrontare il nemico.
“Avevamo alzato ovunque le barricate. Gli uomini combattevano da trincee fatte di armadi, letti, tavoli e comodini. Dietro di loro, le donne caricavano i fucili, soccorrevano i feriti, incitavano al coraggio”.
Coraggio è la parola chiave. Il coraggio alimentato dalla forza istintiva e dalla generosità delle donne.
Ma Cenzina non è un’eroina. È una donna che matura una nuova consapevolezza di sé.
“Non ero un’eroina, ma ero pronta a combattere. Mi sentivo padrona di una mia scelta per la prima volta. Libera. Cercavo un riscatto da tutte le paure che mi avevano addomesticata. Mi misi tra le donne alle barricate, ci passavamo cesti pieni di granate per armare la lotta degli uomini. Nessuno di noi aveva scelto di uccidere. Nessuno di noi voleva morire. Ma uccidevamo e morivamo”.
In questo tempo, in cui le donne pagano ancora un prezzo troppo alto per affermarsi, per studiare, per sottrarsi alla violenza maschile, per conquistare la parità di diritti nel mondo del lavoro, il coraggio di Cenzina può dire ancora molte cose.
Le donne sono costrette ogni giorno a fare sempre uno sforzo in più degli uomini. E questo io lo chiamo coraggio.