L’11 giugno compie 18 anni. E da quel momento, in Ucraina, rischia il fronte. Ma la sua guerra, Andrea (usiamo un nome di fantasia), la sta combattendo in un tribunale. La sua è una storia emblematica per molti motivi. Come circa 150 minori ucraini, collocati a Catania dall’inizio dell’invasione russa, anche per lui il tutore ha chiesto il rientro in patria.
E dagli atti che lo riguardano emerge lo scenario che ha portato a questa drammatica situazione. Il rapporto tra Andrea e la famiglia che lo ospita è iniziato ben prima della guerra poiché, ciclicamente, Andrea è stato ospite dalla famiglia sin dal 2015. Scrive il Tribunale dei minori che ha “costruito un legame con loro e con la famiglia allargata”. Poi i giudici si soffermano su due circostanze essenziali. Innanzitutto “la guerra Russia-Ucraina non è cessata”.
In secondo luogo, Andrea “sta frequentando la scuola” ed “è portatore di bisogni morali e sanitari da realizzare nel modo più diretto ed efficace”. A questo punto inizia a emergere il dramma. Il tribunale menziona i “messaggi telefonici” ricevuti da Andrea e i “contatti dalla titolare della casa famiglia in cui dimorava con altri minori orfani, oltre che da parte della sorella, divenuta maggiorenne, e di altri ospiti della struttura”. Contatti e conversazioni che destabilizzano Andrea: “Mi dispiace tanto – spiega ai magistrati – che questa signora abbia detto a (…) che io non voglio tornare in Ucraina… mi fa male ricevere queste pressioni dalla mia ex casa famiglia… mi chiedono tutti ‘quando torni?’. Io desidero stare qui… desidero non sentirmi in colpa…”.
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Andrea è un minore, per di più orfano, che qui sente di aver trovato il clima di una famiglia e deve decidere se tornare nel suo vecchio orfanotrofio, in un Paese in guerra dove potrebbe trovarsi presto a combattere. Preso tra due fuochi, il senso di colpa lo colpisce al punto da finire ricoverato, nell’agosto 2022, per una violenta “crisi di nervi”. Il tribunale sottolinea che Andrea “soffre per i rischi legati alla guerra ancora in corso”. Aggiunge che “cerca di impegnarsi nel progetto di studio proficuamente portato avanti in Italia”. Spiega che “il conflitto di lealtà”, innescato da questi contatti, inficia il “suo benessere” e prende la decisione: i contatti in questione saranno vietati. Dispone l’aiuto di psicologi e neuropsichiatri infantili per “prevenire l’aggravamento dei danni psicologici” in “collegamento con il suo vissuto doloroso e con le angosce collegate alle sorti del suo Paese”. E attribuisce ai coniugi che lo stanno ospitando, i “poteri connessi con la potestà genitoriale”.
Finora abbiamo visto questa storia con gli occhi di Andrea. Che restano i più preziosi. Sono gli occhi di un minore, per di più orfano. La parte più fragile di questa vicenda. La prospettiva dello Stato ucraino è però ben diversa: non era questo l’epilogo che immaginava quando ha portato questi ragazzini in Italia. Non era questo l’obiettivo. Kiev continua a considerarli propri figli. Non intende perderli. E non accetta che siano vietati i contatti con loro.
Inizia così una guerra giudiziaria che sfocia in una decisiva sentenza della Cassazione: la Corte stabilisce che, in base a una convenzione internazionale del 1996, la nomina di persone come Yulia Dinnichenko, indicata nel ruolo di tutrice dal console ucraino, sia pienamente legittima. E da quel momento il rientro degli orfani inizia a diventare effettivo. La tutrice viene poi indagata, dalla Procura di Catania, con l’accusa di violenza e minacce nei confronti di due minori, per le modalità utilizzate nel convincerli a rientrare in Ucraina. Ma c’è di più. Il Fatto è in grado di rivelare che, dai documenti emerge la piena consapevolezza dello Stato italiano: il governo da mesi è al corrente delle manovre in atto per far rientrare questi orfani in Ucraina. E non ha battuto ciglio. A dimostrarlo c’è una “nota verbale” dell’ambasciata ucraina, del 10 maggio, indirizzata al ministero degli Esteri.
Con la nota l’ambasciata d’Ucraina informa il governo che “i tribunali per i minorenni di Catania, Taranto, Messina, Catanzaro, Lecce e Napoli stanno adottando le misure per il ritorno dei minori non accompagnati cittadini ucraini in Patria”. Poi allega l’elenco dei minori. “Le autorità competenti ucraine – si legge ancora – si impegnano a garantire per i minori il ritorno sicuro nella Patria, in luoghi di residenza appropriati e lontani dalle zone di ostilità, nonché l’assistenza medica, accesso agli istituti di istruzione e altri requisiti in materia di protezione dei diritti e degli ingressi dei minori”. Segue la richiesta di “inoltrare l’informazione al ministero della Giustizia, dell’Interno, delle politiche sociali e dei tribunali sopra menzionati”.
Solo la politica può trovare una soluzione a questo dramma. Avrebbe dovuto farlo sin dall’inizio. Stabilendo regole chiare, condivise con lo Stato ucraino, sulla permanenza di questi ragazzi. Ma la politica tace. E Andrea rischia il fronte.