L’inchiesta si allarga. La Procura di Catania iscrive nuovi indagati e contesta anche l’estorsione. Il sospetto della procura è che Yuliya Dynnichenko, accusata di violenza e minacce per il rimpatrio di due minori ucraini, abbia anche commesso, in concorso con almeno un’altra connazionale, il reato di estorsione. E questo sin dall’arrivo dei minori nel marzo 2022, giunti attraverso la sua associazione, la “Nuovi confini Onlus Italia”. Per l’accusa, sotto forma di “rimborso spese”, Dynnichenko avrebbe chiesto soldi ad alcune famiglie promettendo l’arrivo dei bambini, che poi sarebbero stati loro affidati e, in un caso, addirittura l’adozione internazionale. Ieri la polizia postale di Catania, su mandato del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, e del pm Francesco Camerano, ha eseguito numerose perquisizioni e sequestrato telefoni e computer agli indagati. A partire da Yuliya Dynnichenko e da altre persone a lei collegate. Se la tesi della Procura fosse confermata, al dramma del rientro di questi minori in un Paese in guerra, si aggiunge addirittura l’estorsione perpetrata in passato sul loro arrivo.
Il Fatto – nel silenzio della politica, fatta eccezione per l’interrogazione parlamentare presentata dal M5S, da giorni riporta le testimonianze di questi minori e dei familiari ai quali erano stati affidati. Esemplare il caso dell’11enne Marco (nome di fantasia) che ad agosto implora Dynnichenko di non rientrare nel suo orfanotrofio ucraino, ma viene portato ugualmente via dopo un dialogo finito agli atti d’inchiesta. Dynnichenko è stata nominata tutrice dal console generale dell’Ucraina di Napoli, Maksym Kovalenko, ed è lei che si presenta da Marco per convincerlo a rientrare in patria.
Gli dice che potrebbe chiamare la polizia. E gli prospetta la possibilità (falsa, secondo l’accusa) di essere adottato: “Tu adesso hai la possibilità di avere una famiglia, che sta aspettando già da sei mesi, tu valuti”. Quando il piccolo Marco inizia a singhiozzare, lei reagisce: “Perché piangi? Sei un uomo, non devi piangere”. “Ma io non sono un uomo – risponde Marco – sono un bambino, ho 11 anni”. La conversazione audio registrata è agli atti dell’inchiesta di Catania. Ed è proprio per la vicenda legata a Marco e un’altra minore (che però è ancora in Italia) che la tutrice è indagata per violenza e minacce.
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Il Fatto, attraverso una serie di testimonianze, ha autonomamente ricostruito una serie di episodi legati al rientro di una decina di minori rientrati in Ucraina ad agosto. A volte erano invitati a scrivere che intendevano rientrare di loro pugno da un loro coetaneo. Siamo ad agosto e uno dei minori, adesso rientrato in Ucraina, chiede nella chat ai propri compagni di scrivere su un foglio – se sono d’accordo – che intendono rientrare in patria perché vogliono studiare lì. Il dettaglio è interessante perché, a giugno, il governo ucraino ha emanato una direttiva che vieta il rientro finché dura la legge marziale, quindi la guerra, ma prevede delle possibilità. Tra queste – ove ricorra una serie di altre condizioni – c’è “la richiesta del bambino di tornare”. La richiesta avanzata dal ragazzino avviene con l’invio del testo scritto a mano che gli amici dovrebbero riprodurre Eccolo: “Vi chiedo di aiutarmi a tornare dall’Italia in Ucraina, al mio luogo di residenza in un orfanotrofio, prima della fine della guerra in Ucraina. Voglio studiare in Ucraina”. Il dato interessante è che si tratta dello stesso testo che il Fatto ha ritrovato in altri messaggi, inviato e scritto al computer. Segno che il bambino, probabilmente, non agiva da solo e spontaneamente.
Al ragazzino arriva però il diniego di Anna (nome di fantasia), che ha 15 anni, un handicap a una gamba e un ritardo cognitivo. Anna non intende scrivere nulla. La donna che la ospita chiede al ragazzino di non insistere, perché sta creando un disagio alla sua coetanea. Il dialogo avviene attraverso dei messaggi audio, che il Fatto ha potuto ascoltare, e si concludono con queste parole di Anna: “Ciao, non voglio scrivere e non voglio andare in Ucraina. Basta!”. Anna ad agosto è stata riportata nel suo vecchio orfanotrofio, contro la volontà espressa in questo audio e anche su un atto scritto. Nei giorni scorsi, quando abbiamo raccontato la sua storia, i responsabili del suo orfanotrofio le hanno tolto il telefono con cui, di nascosto, inviava messaggi affettuosi alla famiglia che la ospitava.
C’è poi il fronte aperto sul versante dei tribunali per i minori. Dinanzi al dissenso espresso da alcuni bambini alla tutrice indagata, infatti, s’è resa necessaria la nomina di un procuratore speciale. Procuratore che, però, è stato nuovamente nominato dal console ucraino. E la Procura di Catania è intervenuta anche in questo caso, presentando ricorso per risolvere il conflitto d’interessi della nomina effettuata e chiedendo di individuare un soggetto terzo. I tribunali non si sono ancora espressi.
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