Dopo le forti obiezioni espresse dalle Commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera e la richiesta di modificare la proposta di regolamento europeo su imballaggi e rifiuti di imballaggio, arriva finalmente la risposta della Commissione Europea.
In una lettera indirizzata al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, la Commissaria alla Salute e Sicurezza Alimentare, Stella Kyriakidou, sottolinea che la proposta non intende promuovere una lettura di “riuso” e “riciclo” come attività contrapposte, bensì il contrario.
La proposta intende, infatti, promuovere in primis quel riciclo che il nostro Paese dice tanto di voler difendere, rendendo tutti gli imballaggi sul mercato riciclabili o riutilizzabili, entro il 2030, e incrementando così l’uso di plastica riciclata, promuovendo lo sviluppo di un’economia circolare, volto a ridurre l’eccesso di rifiuti e dare più valore ai materiali.
Marevivo – che proprio durante l’audizione alla Camera dei Deputati, il 28 giugno scorso, aveva esposto alle Commissioni riunite la propria posizione a favore della proposta – ha redatto insieme a Zero Waste Italy un documento di fact-checking al riguardo.
Qui di seguito, nel dettaglio, le obiezioni dei deputati e i nostri argomenti in risposta.
“Iniziativa non necessaria, dunque da respingere”
Ogni anno disperdiamo 10 milioni di tonnellate di plastica in mare e solo il 37% della plastica da imballaggio in Europa è riciclata, nonostante decenni di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) che dovrebbe sostenere il recupero della stessa a fine vita. La produzione di imballaggi cresce più velocemente della capacità di riciclo, tanto che, anche prescindendo dalla proposta di regolamento UE, le stesse Nazioni Unite si sono fatte promotrici di un “Global Plastic Treaty” (in discussione proprio in questo periodo) per affrontare tutte le criticità legate a produzione, immissione al consumo, gestione a fine vita e dispersione nell’ambiente del monouso in plastica.
“Iniziativa solo incentrata sul riuso”
Come dimostra anche la risposta ufficiale inviata dalla Commissione Europea, a commento e controdeduzione del parere negativo sull’iniziativa, la proposta vuole aumentare il tasso di riciclo promuovendo il “design per il riciclo”, incrementando l’uso di contenuto riciclato negli imballaggi, armonizzando le varie normative per rendere più facile riciclare e introducendo i sistemi di Deposito Cauzionale (DRS), che si stanno mostrando fondamentali per massimizzare il riciclo di elevata qualità. Non a caso, i network industriali europei del settore (come Plastics Recyclers Europe, ma anche UNESDA – i produttori di bevande gassate – NMWE – gli imbottigliatori di acque minerali), hanno a più riprese espresso sostegno alla iniziativa UE, che viene vista come la “roadmap” per consolidare le filiere del riciclo, assicurare circolarità al settore, ridurre le inefficienze, garantire gli approvvigionamenti di materiale riciclato, e rendersi indipendenti dalle importazioni di materie prime da altri continenti, necessità sempre più a rischio nella attuale crisi globale da scarsità delle risorse.
“L’Italia rappresenta un’eccellenza sul riciclo, non c’è bisogno di iniziative ulteriori, tantomeno sul riuso”
È vero che il nostro Paese ha fatto passi da gigante sul riciclo, ma mostra anche delle criticità che gli attuali modelli di produzione e consumo hanno generato in tutti i Paesi: in Italia siamo infatti ancora attorno al 50% di plastica da imballaggio non riciclata, che dunque finisce in discarica, negli inceneritori (opzione ancora peggiore, in quanto genera gas serra e aggrava l’impronta ambientale complessiva della filiera) o viene dispersa nell’ambiente. Se pensiamo ai soli contenitori di bevande, ogni anno in Italia, sfuggono alla causa del riuso e riciclo 7 miliardi tra bottiglie e lattine. Una cifra che potrebbe essere drasticamente ridotta grazie alle varie misure previste dalla proposta di regolamento UE, a partire dai sistemi di deposito cauzionale. I cosiddetti DRS hanno dimostrato, nei 13 Paesi europei dove sono attualmente applicati, tra cui la Germania, di portare ad un recupero degli imballaggi superiore al 90%.
“Iniziativa ideologica, non sostenuta da evidenze scientifiche”
Questo regolamento nasce dopo una consultazione con più di 800 organizzazioni e molteplici incontri, protrattisi per più anni, a cui hanno partecipato esperti dei vari Stati membri. Sono stati compiuti studi affidati a esperti riconosciuti per valutare l’impatto delle decisioni prese, non solo sotto il profilo ambientale, ma anche economico e occupazionale. Le stime della Commissione Europea ci dicono che le misure proposte dovrebbero ridurre entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra derivanti dagli imballaggi a 43 mln di tonnellate rispetto a 66 mln di tonnellate di emissioni che verrebbero liberate a legislazione invariata. Il consumo di acqua si ridurrebbe di 1,1 mln di metri cubi. I costi dei danni ambientali per l’economia e la società si ridurrebbero di 6,4 mld di euro.
“Verrebbero penalizzate circa 800.000 aziende attualmente attive nel settore degli imballaggi”
Anzitutto, non tutte le aziende e i lavoratori del settore sarebbero toccati dalle misure del nuovo Regolamento. Poi, come per tutte le evoluzioni della politica economica e industriale, non si tratta di chiudere aziende e tagliare posti di lavoro, ma di aprirne di più in settori contigui (ad esempio imballaggi meglio riciclabili e progressiva crescita dei servizi incentrati sul riuso). Dalle nuove misure, infatti, la Commissione europea si attende (confortata da centinaia di pagine di valutazioni sviluppate nella Valutazione Strategica) la creazione di oltre 600.000 posti di lavoro e risparmi per imprese e consumatori stimabili in circa 100 euro l’anno pro-capite.
“È sbagliato vietare gli imballaggi monouso, compresi quelli impiegati per uso alimentare”
Uno degli imballaggi messi al bando dal Regolamento riguarda il monouso per frutta e verdura fresca per meno di 1,5 kg (con eccezioni, peraltro, laddove l’imballaggio sia necessario a preservare l’integrità del prodotto, il che dimostra ulteriormente quanto le contestazioni alla proposta siano pretestuose). Oggi produciamo 1,2 miliardi di vaschette in plastica monouso per imballare frutta e verdura e questo numero è in costante crescita. Si tratta di confezioni spesso non necessarie e non riciclabili che creano un chiaro danno all’ambiente. Alcuni Paesi europei come Francia e Spagna hanno già introdotto leggi che ne limitano l’immissione sul mercato e va considerato seriamente il fatto che esistono alternative sostenibili. Sono previste restrizioni anche per le bustine monodose di condimenti e salse, ma anche per flaconi di saponi e shampoo sotto una certa dimensione: questi provvedimenti sembrano recepire inoltre l’orientamento del mercato, che ritiene importante seguire questa direzione e ne ravvede una convenienza anche economica.
“L’adozione di un Regolamento non lascia margine di manovra ai singoli Stati membri, meglio una Direttiva”
La Commissione spiega di aver scelto la formula del Regolamento proprio perché in questo comparto le Direttive, in particolare quella recente sulle plastiche monouso, sono spesso state recepite con grandi variazioni di interpretazione e applicazione tra i diversi Paesi UE, andando a inficiare il conseguimento degli obiettivi dichiarati. Gli Stati membri hanno utilizzato ognuno un approccio diverso con il risultato di quadri normativi disomogenei, che compromettono l’efficacia di politiche comuni e pratiche industriali armonizzate, per creare un’economia circolare. Sono state le stesse organizzazioni di settore consultate in fase di stesura del Regolamento a chiedere di armonizzare le varie misure. Favorevole all’introduzione dell’atto giuridico del Regolamento è, ad esempio, anche l’Associazione Europea di Produttori di Materie Plastiche “Plastics Europe”.