Il podcast

Giorgia Soleri e Federica Fabrizio: “Sorelle arrabbiate, ecco il nostro femminismo”

Su Storytel - Dal 27 settembre le prime due puntate del loro podcast “Ignifughe - Le streghe del XXI secolo”, un modo per raccontare (anche) l'intersezionalità delle nuove lotte

Di Giorgia Soleri e Federica Fabrizio
27 Settembre 2023

Corpo, performatività, privilegio, razzismo, salute mentale, sfruttamento animale, lotta e attivismo: queste e molte altre le questioni che hanno portato Giorgia Soleri e Federica Fabrizio a voler realizzare un podcast, Ignifughe – Le streghe del XXI secolo, ascoltabile dal 27 settembre su Storytel. Le autrici e attiviste raccontano qui il percorso che le ha rese femministe.


Questo podcast – Ignifughe – Le streghe del XXI secolo, dal 27 settembre su Storytel – nasce insieme alla voglia e al bisogno di mettere in comune storie ed esperienze, che è la missione che ci ha portate a condividere opinioni e pensieri sui social.

Avere uno spazio per raccontarsi è un enorme privilegio, quindi siamo estremamente grate per questo. Raccontiamo il nostro percorso nel femminismo, che è un percorso pieno di accidenti, pause, strade in salita e vicoli ciechi. Non è un percorso perfetto e di certo non potrà fare da esempio, però speriamo comunque possa essere utile mettere in comune le nostre esperienze per accompagnarvi, se vi va, sul vostro personale percorso.

Parliamo di come la società patriarcale sistematicamente imponga alcune scelte obbligate ai corpi, specialmente ai corpi femminili, negando loro a tutti gli effetti il diritto di poterne disporre come meglio credono.

Quando parliamo di corpi soggetti a controllo, parliamo di tutti i corpi che in qualche modo non sono conformi allo standard sociale. Viviamo in una società fortemente abilista, anche se non lo vogliamo ammettere, e disseminiamo letteralmente le città di barriere per cui gli spazi non sono accessibili a tutte le persone. E la cosa spaventosa è che il mondo non fa altro che ricordarci che questo controllo esiste, talvolta proprio rendendo alcuni spazi completamente inaccessibili.

Pensiamo a tutte le stazioni delle metro o ferrovie senza scale mobili e con ascensori guasti…non sono accessibili a tutte le persone in sedia a rotelle o che hanno difficoltà nella deambulazione.

Parliamo di intersezionalità, che vuol dire eliminare le precedenze.

Analizzare la società nella sua complessità vuol dire ammettere che esistono e vengono agite nello stesso momento tante discriminazioni, non solo quella di genere. Di conseguenza non ha senso decidere di occuparsi di una alla volta, dandole appunto la precedenza su tutte le altre, giusto? Perché significherebbe stabilire una gerarchia di discriminazioni.

Non a caso il femminismo intersezionale è stato teorizzato da attiviste femministe e accademiche afrodiscendenti, che non trovavano spazio di azione nella lotta antirazzista perché donne, e non trovavano posto nel movimento femminista perché nere: ecco da dove nasce l’esigenza di occuparsi di questi due fattori insieme.

Inoltre l’intersezionalità regala un punto di vista molto più plurale sul tessuto sociale che abitiamo e su come agiamo nel mondo. Le discriminazioni sono tante quante sono le persone che differiscono dallo standard.

Ed eccoci alla domanda che ci facciamo e ci sentiamo fare più spesso di tutte da persone di tutte le età incuriosite dal tema: ma quindi come si diventa femministe?

Abbiamo provato a parlare di teoria, ora proviamo a parlare di pratiche.

Ne abbiamo trovate diverse. La prima è la rabbia.

La rabbia è uno strumento potente, catalizzatore, è energie propulsiva. Se c’è qualcosa che ci fa schifo, diciamolo, prendiamo uno spazio e rivendichiamo il diritto di essere arrabbiate, di essere incazzate con delle regole scritte per opprimerci, per relegarci al silenzio. Questa è un’ottima pratica, esercitare rabbia e prendere parola, anche perché quella rabbia è politica e trasformativa. Dall’alba dei tempi ci invitano a non disturbare, a non sconvolgere gli equilibri del sistema, a non fare rumore. E noi ci siamo convinte che il nostro compito sia proprio quello, ma sin dall’alba dei tempi, appunto, dentro lo sentiamo di avere qualcosa che urla che no, non è giusto. E allora urliamolo pure fuori, ovunque. Nelle piazze, sui social, al bar del paese, a tavola con la famiglia. Disturbiamo ovunque.

Anche perché, come ripetiamo spesso, non arrabbiarsi è privilegio. Avere la possibilità di assistere a una violenza e non fare niente è un privilegio. cambiare semplicemente marciapiede quando dietro di te c’è una persona molesta, è privilegio. Quindi basta tutto, arrabbiamoci, che poi quella rabbia è trasformativa e diventa altro, diventa ostinazione, diventa resistenza.

Un’altra pratica potente è l’alleanza. Essa è una pratica importantissima e forse per ora anche la più delicata. Vuol dire mettere a disposizione la propria voce e – quando si può – il proprio corpo, per delle istanze e rivendicazioni che non ci attraversano direttamente, per delle discriminazioni di cui non siamo direttamente vittime, anzi di cui potremmo essere carnefici.

Il femminismo unisce, e pensiamo che la sua messa in pratica ne sia veramente la prova, la sorellanza ne è la prova.

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