Roma. Dopo gli stupri di Palermo e Caivano, ad agosto Giuseppe Valditara ha annunciato di voler “portare il tema dell’educazione al genere (poi ridefinita come “all’affettività”) e della lotta agli abusi sessuali” negli istituti superiori e professionali. Il ministro aveva parlato di una circolare da diffondere “nel primo giorno utile di riapertura”. Il progetto non ha contorni (o budget) definiti, ma se ne conosce il titolo, “Educare alle relazioni”, e l’impianto generale. Una lezione extra-curriculare di un’ora a settimana per tre mesi, con “gruppi di autoconsapevolezza” composti da una decina di studenti. I concetti da trasmettere negli incontri: “Un vestito non è un invito”, “le parole sono pietre”, “innamorata da morire non è che un modo di dire”, “non rinunciare a denunciare”. Il coordinamento è affidato ad Alessandro Amadori, spin doctor e sondaggista della scuola di Nicola Piepoli, portato da Valditara al Miur come consulente sui progetti di formazione. Amadori insegna comunicazione politica alla Cattolica di Milano e si è occupato di Berlusconi e di berlusconismo, anche come presidente di Libertà e Giustizia. Di recente ha scritto con Valditara un Manifesto della Lega per governare il Paese, prefazione di Matteo Salvini. Un curriculum ampio, dove però non si trovano specializzazioni in questioni di genere, se non un saggio La guerra dei sessi, che discute la violenza maschile come effetto della perdita di potere da parte degli uomini nella società, derivante da una presunta tendenza intrinseca delle donne a “castrare” e sottomettere gli uomini.
Il Miur conta di partire nel 2024, ma le anticipazioni del ministro, e il profilo del coordinatore, suscitano dubbi tra le associazioni. Sotto la lente c’è il metodo dei “gruppi di autocoscienza” di studenti supervisionati da un docente. La tecnica basata sulle teorie dello psicanalista Balint è collaudata in ambito d’impresa, ma non per la violenza di genere. “La relazione tra i sessi e il rispetto della diversità di genere vanno affrontate con le associazioni antiviolenza”, commenta Sabrina Frasca dell’associazione Differenza donna. Manuela Calza, segretaria nazionale della Flc Cgil che ha indirizzato al Miur una lettera per sollecitare azioni, ritiene che il “l’educazione di genere non può essere trattata come una materia a sé stante, ma deve permeare tutta la didattica, coinvolgendo i docenti”. Per Giulia Selmi della rete Educare alle differenze il problema è che “la violenza non si può ridurre a una questione soggettiva, come fosse un comportamento individuale da correggere con un’adeguata educazione che . I centri antiviolenza e la pedagogia delle differenze dicono il contrario. Bisogna lavorare sugli stereotipi e i modelli socio-culturali patriarcali”, cioè sul contesto. Nessuna di queste associazioni è stata consultata, né lo è stato Indire, l’istituto sulla ricerca che già collabora con il Miur e ha attivo un progetto di prevenzione nelle scuole della Regione Toscana.
Al Fatto Amadori precisa che l’iniziativa è un work in progress e saranno attivate consultazioni, che il corso non si sostituirà a iniziative già in campo e sarà approvato dall’ordine degli psicologi: “Gli eventi di cronaca hanno accelerato le cose, ci siamo detti che l’importante era partire. Coinvolgere studenti e docenti non fa mai male”.