Bei tempi quelli del lanciafiamme. Altro che “esternalizzare”, si faceva tutto in casa: il partito, l’opposizione al partito, il dileggio del partito e infine anche il superamento del partito. Naturalmente con un altro, a propria immagine e somiglianza. Si parlava chiaro, secondo i dettami del Marchese del Grillo: io sono io e voi non siete un cazzo. Tendenza Luigi XIV, L’état c’est moi: peccato per quella seccatura della volontà popolare che nello Stato, e nella sua Costituzione, dimostrò di credere ancora. Bei tempi, soprattutto per la stampa: per riempire pagine e puntate non serviva occuparsi di politica, bastava la rottamazione. Che brivido di novità gli iPhone col gettone, le serate con la Playstation, gli hashtag su Twitter! E pazienza per il dibattito infantilizzato: d’altronde a che serve la discussione quando l’establishment ha trovato il suo cavallo di Troia?
Non sorprendiamoci, allora, per il rigurgito morettiano del “Ma lei come parla?”, diventato tormentone (involontario?) sulla presunta incapacità di Elly Schlein di farsi capire: lustri di porti chiusi, pacchie finite, buone scuole, blocchi navali, ciaoni, odiare l’odio e Agende varie forse hanno piegato la capacità di comprensione di alcuni, ma di sicuro hanno limato la propensione dei media a tollerare la complessità. Da anni, tv e giornali cannoneggiano sulla politica senza contenuti, eppure il loro contributo nello schiacciarla unicamente sulla comunicazione è stato determinante: dalla macchiettizzazione di qualunque personalità in personaggio, che ha finito per stancare anche il pubblico per cui era stata pensata, a un racconto della realtà imperniato su se stessi e sui propri (pre)giudizi, sovente parecchio lontani dalle necessità del popolo. Insomma: è certamente meritorio riportare chi fa politica al dovere primario della chiarezza – espressiva e di idee – ma è altrettanto indispensabile manifestare volontà e capacità di ascolto. Perché la politica dei contenuti ha bisogno di slogan efficaci e immediati, ma soprattutto di pensieri articolati, non binari, che assumano su di sé la responsabilità della complessità. Pensieri che includano parole a cui la politica si è disabituata, e che i media censurano come elitarie perché, mentre si affannano a condannarlo, hanno nei fatti in gran parte abbracciato quel populismo di definizioni superficiali ed etichette pronte all’uso che rende tutto più frizzante. Soprattutto per l’establishment, gattopardescamante impegnato ad abbracciare qualsiasi cambiamento per non cambiare nulla, e preservare con stile il proprio potere: che l’establishment e parte dei media coincidano, poi, è un segreto di Pulcinella. Ma non sbagliamoci: Elly Schlein non è una vittima designata. Primo, perché è innegabile che possa migliorare (chi non?); secondo, perché è successo anche ad altri prima di lei, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, i cui esponenti sono trattati, spesso tuttora, come i nuovi barbari. La vittima designata è invece un’altra: la cittadinanza. Quante cose potevano essere migliorate, negli anni, se i media avessero fatto meglio il proprio dovere? Quanto poteva magari essere corretto il Jobs Act se, al posto di inneggiare fuori tempo massimo all’innovatività della flessibilità, si fosse aperta una sana riflessione sulla riforma? Quante mostruosità si potevano evitare, quanti personaggi grotteschi, quante menzogne ormai radicate nel disgraziato senso comune? A essere generosi, si può persino ipotizzare che persino i governanti, di ieri e di oggi, sarebbero migliori, se al posto di tirare al piattello su “esternalizzare” et similia si fosse guardato davvero ai bisogni della gente. Che, peraltro, di certo sa cosa significa “esternalizzare”: sono decenni che succede ai loro posti di lavoro.