Apprendiamo che al “Berlusconi day” promosso da Forza Italia nel fine settimana a Paestum, parteciperà il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra. So bene che, non da oggi, quel sindacato ha cambiato pelle. Ma non pensavo si spingesse a tanto, discostandosi così profondamente dalle sue radici e dalla sua cultura. Un distanziamento che, ai miei occhi, trascende l’attualità contrassegnata dalla sempre più frequente e marcata divisione tra la Cisl e gli altri sindacati confederali nel rapporto con il governo Meloni, il più a destra della storia repubblicana nonché degli esecutivi dei Paesi Ue.
Divergenze su questo o quel punto programmatico tra le rappresentanze sindacali nella loro interlocuzione con l’esecutivo naturalmente ci possono stare, ma, qui, ripeto, siamo ben oltre. Almeno per tre ragioni.
La prima concerne la doppia natura dell’evento annunciato da Tajani – celebrativo, di partito e del suo fondatore e capo assoluto – in palese contrasto con la rivendicata autonomia storicamente e statutariamente cara alla Cisl. Un tratto caratteristico, qualificante e prezioso custodito anche al prezzo di tensioni e contrasti con le organizzazioni cugine e segnatamente con la Cgil e il suo collateralismo più o meno organico con i partiti di sinistra.
La seconda contraddizione è di natura politico-culturale. Quand’anche volessimo prendere per buona la generosa autorappresentazione di FI come partito liberale, essa sarebbe assai distante dalla cultura cristiano-sociale del “sindacato cattolico”. Quasi il suo opposto. Si pensi al suo primo leader Giulio Pastore, a Carniti e Gorrieri, ma anche ai “moderati” Marini e Pezzotta. Figure diverse ma tutte accomunate da una spiccata sensibilità sociale e comunque lontanissime dai dogmi liberisti. Sotto questo profilo, sarebbe persino più plausibile una liaison con Fratelli d’Italia (un tempo – oggi in verità assai meno – partecipe della cultura della destra sociale) che non con il partito-azienda di FI.
Ma vi è una terza e ancor più vistosa contraddizione: il partito personale di Berlusconi incarna l’esatto rovescio del modello di democrazia partecipativa congeniale all’autonomo protagonismo delle formazioni sociali del quale la Cisl ha storicamente rappresentato un laboratorio avanzato. L’opposto del “direttissimo” e della disintermediazione.
Anche al netto del giudizio su ciò che hanno incarnato Berlusconi e il berlusconismo – non esattamente da additare ad esempio sotto il profilo dell’etica pubblica e della sollecitudine per la condizione dei lavoratori – di sicuro quell’esperienza e quella stagione hanno fatto segnare il trionfo di un leaderismo che ha compresso la dimensione sociale della democrazia, la concertazione e dunque lo status e la forza del sindacato.
Queste contraddizioni, tuttavia, e purtroppo, non sorprendono ma semmai rafforzano l’impressione di un trend in atto da tempo nella Cisl – si pensi alle sofferte dimissioni di Pezzotta – e cioè quello di un vistoso deficit di democrazia interna al sindacato. Non si spiega altrimenti come tali vistose torsioni, spinte sino al punto da intaccare le radici ideali e culturali di un glorioso sindacato, non producano adeguate reazioni dentro la sua organizzazione.