C’è modo e modo di aiutare le famiglie italiane a combattere la denatalità ormai cronica, quello a cui sta pensando il governo rimanda ad esempi di dubbia efficacia e anche dal punto di vista socio-culturale sembra un ritorno al passato remoto. Il ministero dell’Economia sta testando uno dei vecchi pallini della maggioranza: zero tasse o forti sconti sull’Irpef per chi ha almeno tre figli sotto i 10 anni. La prima idea – su cui il ministero di Giorgetti avrebbe fatto fare una simulazione al suo dicastero – prevedeva un azzeramento totale dell’Irpef per le famiglie numerose, ricalibrata poi in un forte abbattimento della tassa, sempre a partire dai nuclei con almeno tre figli. Il tiro è stato corretto con la presentazione della Nadef, inserendo un limite per i “redditi medi e bassi”. Nella prima formulazione, di fatti, i 600 milioni di spesa previsti sarebbero andati per la parte maggiore a chi guadagna tanto e quindi paga più tasse. Quando il governo metterà la legge nero su bianco capiremo i dettagli.
L’esempio più eclatante in Europa del modello a cui si sono espirati nel governo è quello dell’Ungheria di Orban, ma anche in altri Paesi dell’Est c’è questo approccio. Un modello, quello definito “pronatalista” che mette la mamma, quindi la famiglia tradizionale, al centro. Poi c’è l’altro tipo di approccio, quello che hanno le democrazie europee come Francia e Germania, che mette al centro il bambino (a prescindere dalla composizione della famiglia), è inclusivo e non è discriminatorio. Ossia promuove i diritti e la parità di genere. Questi Stati hanno tassi di nascita superiori.
Ma vediamo di che stiamo parlando: la vecchia Italia è fanalino di coda in Europa per le nascite (1,2 bimbi, contro la media Ue di 1,5) e il trend è tutt’altro che promettente: secondo i calcoli nel 2070 avremo una popolazione di 47,7 milioni di persone, 11,5 milioni in meno rispetto a oggi. Un discorso che riguarda la tenuta del sistema Italia: chi pagherà i costi per la sanità, pensioni e servizi? E i motivi della bassa natalità li conosciamo: al di là delle chiacchiere dei politici, il nostro Paese spende per supportare chi fa figli (dato 2019) solo l’1,1% del Pil (circa 20 miliardi) contro il 3,3% della Germania (116 miliardi) e il 2,3% della Francia (62 miliardi). Peggio di noi solo Malta e Cipro. E qui si inserisce la proposta spot del governo che dovrebbe riguardare appena 150mila nuclei, ossia lo 0,7% di quelli residenti in Italia. Ovviamente le coppie che hanno tre o più figli si dividono tra benestanti e nuclei con difficoltà, polarizzate al Sud e al Nord, nelle province più ricche tipo Trento o Bolzano.
Già nel 1994, la Conferenza Internazionale sullo Sviluppo della Popolazione delle Nazioni Unite ha affermato che un cambiamento demografico sostenibile era fondamentale per plasmare le prospettive macroeconomiche – scrive in uno studio il British Medical Journal – ma non è tutto, sono stati fissati anche i criteri: il suo programma d’azione ha segnato un cambiamento di paradigma concentrandosi sulla salute riproduttiva, sull’uguaglianza di genere e sul benessere individuale, invece che sulle esigenze governative o sugli obiettivi demografici. “Molti governi – scrive lo studio britannico – hanno cercato di trovare una soluzione demografica attraverso politiche top-down basate su obiettivi per incoraggiare la natalità. Tali risposte politiche hanno giustificazioni discutibili, un effetto limitato sulla fertilità e potenziali effetti nocivi sulla salute sessuale e riproduttiva, sui diritti umani e sull’uguaglianza di genere”.
Vediamo come funzionano e quali effetti hanno i modelli classici degli Stati più autoritari e di destra: il concetto principale è “il bene della nazione”, osannato con slogan alla Meloni: Dio, patria e famiglia. Gli Stati dell’Est hanno avuto un brusco calo demografico a partire dalla caduta del muro di Belino e il disfacimento dello Stato Sovietico. In Polonia, il governo nazional-conservatore ha lanciato prima il Famiglia 500+, poi il 2022 il “Family Care Capital” per cercare di recuperare terreno, un piano che alza a 213 euro al mese il contributo dello Stato per il secondo figlio e i successivi. Ma il tasso di natalità, intorno all’1,5 negli anni precedenti, è crollato all’1,3 nel 2021 per poi risalire all’1,4 quest’anno. Insomma lontani dall’obiettivo del 2.
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Nell’Ungheria di Viktor Orbán sono previsti contributi bassi per il primo figlio, circa 30 euro, che sale leggermente per il secondo e terzo. A partire dal quarto c’è l’esenzione totale delle tasse a vita, oltre a un contributo per acquistare auto a 7 posti. Per qualche anno il tasso è risalito un po’, per stabilizzarsi attorno all’1,5. E questo – secondo gli esperti – perché questi Paesi non hanno mai investito in uguaglianza e servizi per l’infanzia (asili ecc). Scrive il British medical Journal: caratteristica di questo tipo di misure di sostegno “è la retorica che le circonda, che spesso combina la missione di aumentare i tassi di natalità con la promozione dei valori familiari conservatori, in cui le donne hanno il dovere e la responsabilità di avere figli e così garantire il futuro della nazione. Promuovendo il ruolo delle madri nella cura dei figli e ignorando il contributo degli uomini, le politiche pronataliste dall’alto verso il basso tendono a imporre ruoli familiari e di genere conservatori e a invertire il progresso nell’uguaglianza di genere e nei diritti delle minoranze sessuali e di genere”.
L’ayatollah iraniano Khamenei, nel 2014, ha chiesto di “promuovere e instaurare uno stile di vita islamico-iraniano e affrontare gli aspetti negativi dello stile di vita occidentale”. In Turchia, il Presidente Erdoğan ha dichiarato che tutte le famiglie dovrebbero avere almeno tre figli. Il presidente russo Vladimir Putin ha reintrodotto la medaglia sovietica per le “eroine madri” con 10 o più figli nel 2022, e i deputati della Duma di Stato russa hanno presentato una legge che vieta la diffusione di informazioni che promuovono l’“ideologia straniera senza figli”.
Insomma – scrivono i ricercatori britannici – “Le politiche pronataliste spesso si basano su una valutazione discutibile delle misure e dei cambiamenti demografici e quindi è improbabile che raggiungano i loro obiettivi”. Proprio il modello che vuole adottare Meloni.
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