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GUERRA IN ISRAELE, L’ESERCITO FA MEA CULPA MA SI PREPARA A INVADERE LA STRISCIA. GAZA RESTA AL BUIO. HAMAS SMENTISCE DI AVER DECAPITATO I BAMBINI IN UN KIBBUTZ. Da sabato scorso, quando Hamas ha messo a segno il suo raid sorprendendo Tel Aviv, il numero dei morti è, purtroppo, in continuo aggiornamento: 1.200 i caduti israeliani, 1.055 quanti hanno perso la vita a Gaza, 5.184 i feriti. Aveva destato orrore, ieri, la notizia di almeno 40 bambini uccisi, e alcuni decapitati, nel kibbutz di Kfar Aza, a pochi chilometri dal confine con la Striscia; la notizia era stata divulgata da un ufficiale ai corrispondenti di numerosi giornali, tra cui New York Times e Bbc. Oggi, le Forze di difesa israeliane non confermano l’evento, sebbene il kibbutz sia stato effettivamente attaccato e molti civili siano stati uccisi dai terroristi mentre erano inermi nelle loro case. Anche il movimento islamico è intervenuto con una nota: “Hamas smentisce in modo totale tutte le fake news che sono state diffuse dai media occidentali, ultima delle quali quella secondo cui la resistenza o i suoi membri avrebbero ucciso e decapitato teste e attaccato civili”. Il tema dell’informazione resta delicato, Tel Aviv potrebbe imporre uno stop ad Al Jazeera, la televisione del Qatar che sostiene i palestinesi. Mentre il conflitto prosegue, e l’Egitto propone una tregua umanitaria di sei ore, su Gaza si abbatte una pioggia di bombe, e l’unica centrale elettrica si è spenta perché rimasta senza carburante. Gli islamisti rispondono colpendo Ashkelon, alcuni razzi hanno centrato l’ospedale. L’esercito israeliano intanto fa mea culpa: “Come esercito, siamo tutti responsabili per non aver prevenuto quello che è successo. Siamo tutti responsabili e io sono responsabile” ha detto il generale Omer Tishler, capo dell’aviazione militare israeliana, affermando che ci sarà un’indagine sui motivi per cui l’invasione di Hamas ha preso di sorpresa gli apparati militari. Per rispondere a questa azione senza precedenti il governo di Bibi Netanyahu sta pensando all’invasione di terra, anche a costo di perdere centinaia di soldati e mettere a rischio i 150 ostaggi che gli estremisti islamici hanno portato con loro dopo il raid. Hamas risponde con lanci di razzi sulle città israeliane e prova a creare un fronte arabo. L’ex capo di Hamas, Khaled Meshaal, ha rivolto oggi un appello ai musulmani: “Andate nelle piazze del mondo arabo e islamico questo venerdì”, ha detto Meshaal, che attualmente dirige in Qatar l’ufficio della diaspora di Hamas. Secondo Meshaal, “i popoli di Giordania, Siria, Libano ed Egitto hanno il dovere più grande di sostenere i palestinesi”. Continuano anche gli scambi di colpi alla frontiera tra Israele e Libano, dove sono stati segnalati infiltrati. Sul Fatto di domani avremo una analisi su quali sono i rischi di una operazione militare dentro Gaza, altri approfondimenti sulla notizia, tutta da verificare, dei bambini israeliani decapitati nel kibbutz, e una intervista ad Alon Pinkas, che ha firmato un articolo molto critico sul primo ministro Netanyahu sul quotidiano israeliano Haaretz.
LO STATO EBRAICO HA UN GOVERNO DI EMERGENZA. ISRAELE-GAZA, VOCI DA UN CONFLITTO. Sulla guerra in Medio Oriente il giornale che sarà in edicola domani dedicherà anche un focus alla raccolta di alcune testimonianze, sia nel mondo palestinese che israeliano, per allargare il dibattito su quanto sta accadendo su diversi piani della società. Che la situazione sia complessa lo dimostra anche la notizia di oggi: Israele ha un governo di emergenza nazionale. L’accordo è stato raggiunto tra il premier Benyamin Netanyahu e uno dei leader dell’opposizione, Benny Gantz. Quest’ultimo, che è un ex generale, assieme al ministro della Difesa Gallant, farà parte del gabinetto di guerra. Yair Lapid, l’altro oppositore del primo ministro, ha rifiutato di entrare nel governo per la presenza dei partiti di estrema destra che hanno sostenuto Netanyahu. Si tratta comunque di un risultato impensabile sino a qualche settimana fa, con Netanyahu che faceva leva sulla forza dei suoi alleati della destra nazionalista per mettere all’angolo gli avversari. Nelle pagine del focus ci sarà pure spazio per una intervista alla poetessa e scrittrice israeliana Zeruya Shalev.
CASO APOSTOLICO, ALLA CAMERA LA LEGA CONTINUA LA CORTINA FUMOGENA. LA GIUDICE NON CONVALIDA ALTRI 4 TRATTENIMENTI. Un’altra occasione persa. L’audizione del sottosegretario all’Interno, il leghista Nicola Molteni, davanti alla commissione Affari Costituzionali della Camera non ha aggiunto un solo brandello di informazione alla vicenda del video alla giudice di Catania Iolanda Apostolico, postato da Matteo Salvini per denunciare la presenza della magistrata in un sit in a favore dello sbarco della nave Diciotti, il 25 agosto 2018. “Gli approfondimenti effettuati dalla questura di Catania – ha detto Molteni – hanno escluso che il video pubblicato sui social sia riconducibile ai filmati registrati dagli operatori della polizia scientifica in servizio”. Il sottosegretario ha ricordato che, secondo l’Arma dei Carabinieri, il 6 ottobre un militare si sarebbe auto-accusato di aver girato e distribuito il video, salvo poi ritrattare le sue affermazioni: “Nei suoi confronti sono in corso accertamenti finalizzati alla valutazione della rilevanza disciplinare della sua condotta. Dell’accaduto è stata informata la Procura di Catania”. Insomma, niente di più di quello che abbiamo scritto. Si poteva intuire già dal fatto che il ministro Matteo Piantedosi all’ultimo ha deciso di non partecipare all’audizione ma di inviare il suo sottosegretario. “Prosegue il silenzio del Viminale sull’origine del video che ritrae la magistrata Iolanda Apostolico a una legittima manifestazione per i diritti umani”, è la conclusione del deputato di Verdi e Sinistra Filiberto Zaratti. Soprattutto resta aperta la questione essenziale: dove ha preso il video Salvini (visto che online non c’era prima del suo post)? Torneremo sul caso sul Fatto di domani. Nel frattempo, la giudice Apostolico oggi ha deciso di non convalidare i trattenimenti nel Cpr di Pozzallo disposti dal questore di Ragusa nei confronti di 4 migranti tunisini. È il secondo provvedimento in tal senso della magistrata finita nella bufera. Domenica un altro giudice di Catania non aveva convalidato sei trattenimenti, come un giudice di Firenze qualche giorno prima. Piantedosi, che non ha trovato tempo per il question time, ha fatto sapere che il Viminale valuterà se impugnare il provvedimento del Tribunale di Catania.
NADEF, IL PARLAMENTO APPROVA: FMI E FITCH CHIEDONO PIÙ AUSTERITÀ. Dopo aver precettato i parlamentari della maggioranza per scongiurare assenze, Giorgia Meloni incassa il Sì di Camera e Senato sulla Nadef e sullo scostamento di bilancio. A Montecitorio il via libera è arrivato con 224 sì e 127. Palazzo Madama ha approvato con 111 favorevoli, 69 contrari e 1 astenuto. La Nadef illustra l’andamento della spesa pubblica nei prossimi 3 anni. E impegna il governo su alcune misure: la conferma del taglio del cuneo fiscale; l’avvio della riforma dell’Irpef con la cancellazione dell’aliquota al 28%; fondi per sostenere le famiglie numerose; soldi per il pubblico impiego, in particolare ai lavoratori della sanità. Ma i mercati e le istituzioni internazionali temono la crescita del debito. Fitch, agenzia di rating americana, punta il dito sull’aumento del deficit rispetto alle stime del Documento di economia e finanza pubblicato ad aprile: “Un significativo allentamento della politica fiscale”, secondo gli analisti. “Le agenzie di rating fanno il loro mestiere – ha risposto Giorgetti – ma l’unica cosa che abbiamo fatto in extra deficit, a parte l’Ucraina, è la conferma del taglio del cuneo contributivo”. Anche il Fondo monetario internazionale teme i rischi sul debito. Per il responsabile del dipartimento di bilancio Vitor Gaspar, “servono ambizioni aggiuntive in termini di aggiustamento dei conti pubblici”. La voglia di austerità monta anche in patria. Il gruppo Azione-IV-Renew Europe ha annunciato un ricorso alla Consulta sull’aumento del deficit. Già ieri, l’Ufficio parlamentare di Bilancio aveva messo in guardia sulla debolezza dei conti, in vista del ritorno del Patto di stabilità europeo (con vecchie o nuove regole, ancora da concordare a Bruxelles). Il ministro Giorgetti ha giustificato i 15,7 miliardi di deficit (per il 2024) con l’eccezionalità della guerra in Ucraina. Stasera Meloni terrà una riunione con la maggioranza, in vista del Cdm di lunedì prossimo sul Documento programmatico di bilancio: è il testo con le linee guida della Manovra da inviare a Bruxelles. Sul Fatto di domani, vi racconteremo i numeri e la lotta politica intorno alla Legge di Bilancio.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Mimmo Lucano, sentenza ribaltata in secondo grado. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria hanno condannato l’ex sindaco di Riace a un anno e sei mesi di reclusione, con pena sospesa, contro la richiesta della Procura generale di 10 anni e 5 mesi. In primo grado a Lucano erano stati inflitti 13 anni e 2 mesi di carcere: tra i reati ascrittigli, associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. La Corte ha invece fatto cadere l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lasciando in piedi l’abuso d’ufficio. Assolti tutti gli altri 17 imputati.
Stefano Boeri indagato a Milano per turbativa d’asta. L’indagine della Procura è relativa al progetto della biblioteca europea di informazione e cultura Beic, che dovrebbe sorgere nell’area di Porta Vittoria. Con l’architetto, che faceva parte della commissione giudicatrice, risulta indagato anche il collega Raffaele Lunati.
Roberto Napoletano, ex direttore del Sole24Ore, assolto in appello “per non aver commesso il fatto”. Il giornalista era imputato nel processo per le presunte irregolarità nei conti del Gruppo editoriale nel periodo in cui era ai vertici. La Corte d’Appello di Milano ha rigettato la richiesta con cui la Procura generale aveva proposto la conferma della sentenza di condanna a 2 anni e 6 mesi.
Carlo Emilio Gadda: “Il destino mi ha preso a calci”. Escono per Adelphi “I viaggi della morte”, saggi scritti tra il 1927 e il 1957. Daniela Ranieri li ha letti per noi.
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Lucha y Siesta, non solo antiviolenza: la Regione Lazio vuole cancellare 15 anni di cultura
di Lucha y Siesta
In via Lucio Sestio 10, a Roma, c’è una casetta scalcagnata con un cortiletto intorno. Un luogo strano per il posto in cui si trova, ma in fondo un luogo come ce ne sono tanti. Un vecchio deposito dell’Atac, l’azienda pubblica di trasporto controllata dal Comune. Dall’8 marzo del 2008 la storia di questo luogo si è intrecciata con sperimentazioni, pratiche, storie e lotte. Da quando un gruppo di attiviste ha appeso dalle sue finestre uno striscione dove si leggeva “Tra la festa, il rito e il silenzio, abbiamo scelto la lotta”, il vecchio deposito schiva ogni definizione univoca, si sottrae a categorie che immobilizzano pensieri e pratiche e traccia percorsi nuovi. Da quell’8 marzo si chiama Lucha y Siesta e non è più solo un luogo.
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