In via Lucio Sestio 10, a Roma, c’è una casetta scalcagnata con un cortiletto intorno. Un luogo strano per il posto in cui si trova, ma in fondo un luogo come ce ne sono tanti. Un vecchio deposito dell’Atac, l’azienda pubblica di trasporto controllata dal Comune.
Dall’8 marzo del 2008 la storia di questo luogo si è intrecciata con sperimentazioni, pratiche, storie e lotte. Da quando un gruppo di attiviste ha appeso dalle sue finestre uno striscione dove si leggeva “Tra la festa, il rito e il silenzio, abbiamo scelto la lotta”, il vecchio deposito schiva ogni definizione univoca, si sottrae a categorie che immobilizzano pensieri e pratiche e traccia percorsi nuovi. Da quell’8 marzo si chiama Lucha y Siesta e non è più solo un luogo.
A Lucha y Siesta succedono molte cose: è la casa di chi, per periodi più o meno lunghi, ha bisogno di ospitalità per ricostruire percorsi interrotti dalla violenza patriarcale e di genere e che vi trova operatrici antiviolenza, psicologhe, avvocate, educatrici. È una casa in cui a difendere dalla violenza non sono i muri, ma la rete di relazioni. Dove non ci sono etichette vittimizzanti. È un laboratorio di pratiche femministe e transfemministe, un luogo di elaborazione di pensiero e di sperimentazioni politiche e culturali. È un luogo aperto al quartiere e alla città, dove si presentano libri e si organizzano rassegne cinematografiche, festival per bambinə, concerti e corsi di lingue, danze, ginnastiche a cui chiunque può partecipare; un luogo da cui si parte per entrare nelle scuole e nei luoghi di formazione e portare una visione ampia del fenomeno della violenza e della discriminazione basata sul genere e degli strumenti per contrastarle.
Lucha y Siesta da 15 anni è un nodo fondamentale della rete di centri antiviolenza e case rifugio. Rete che, nonostante l’impegno e la professionalità di chi vi lavora, soffre per la carenza strutturale di fondi e di posti in accoglienza, gravemente inferiori a quelli in linea con la Convenzione di Istanbul.
Solo due anni fa le istituzioni hanno riconosciuto l’immenso apporto di Lucha y Siesta al sistema antiviolenza romano, non solo per l’ospitalità fornita e per i servizi antiviolenza, ma anche per il vasto lavoro culturale, sociale e politico. A fronte della sconsiderata politica di Atac e del Comune di Roma, che avevano intenzione di venderlo per fare cassa, la Regione Lazio si è impegnata a salvaguardare l’esperienza innovativa, acquistando l’immobile all’asta e avviando l’iter per l’assegnazione all’Associazione Casa delle Donne Lucha y Siesta. L’iter non si è concluso, due consigliere regionali di Fratelli d’Italia hanno segnalato l’acquisizione alla Corte dei Conti che ha avviato un’indagine contro 4 dirigenti regionali. L’apertura delle indagine e le dimissioni di Zingaretti hanno segnato l’interruzione del percorso.
Lunedì 9 ottobre, secondo notizie trapelate dalla Regione, l’assessora alle Pari opportunità avrebbe dovuto proporre alla giunta regionale una delibera per porre fine all’esperienza di Lucha y Siesta: il luogo va sgomberato, ristrutturato e infine messo a bando. L’esperienza di Lucha y Siesta finirebbe dunque così, ridotta a servizio neutro da mettere a bando. A seguito delle diverse voci che su sono pubblicamente opposte, la delibera non è stata presentata, e la data di discussione è da stabilirsi.
I dati sulla violenza di genere, così come i fatti di cronaca, sono noti a chiunque. È evidente che femminicidi, violenze, stupri sono le eruzioni del magma della cultura patriarcale, che reifica e assoggetta le donne, le persone trans e con identità non binarie. Gli autori delle violenze sono spesso i compagni, i mariti, gli amici, che vedono nelle donne soggetti meno umani, meno liberi, meno autonomi di loro sui quali è possibile imporre, anche con la forza, il proprio volere.
Pensare di contrastare la violenza di genere occupandosi solo del sintomo, come vorrebbe fare la Regione Lazio, è miope: occorre analizzare la nostra società, le strutture e le relazioni di potere che abbiamo naturalizzato e che spesso non notiamo per superare la violenza patriarcale. Per questo Lucha y Siesta, come tanti luoghi dell’antiviolenza, combatte la violenza con la cultura e le pratiche femministe e transfemministe, nel solco delle lotte che da oltre cinquant’anni trasformano il nostro mondo. In poche parole, l’antiviolenza è transfemminista o non è.
Alcune persone, quando si danno appuntamento alla casa, dicono che si vedono “da Lucha”. Perché non è solo una casa, ma incarna le storie e le persone che l’hanno attraversata, le cose che vi sono accadute. Lucha y Siesta è molto più di un luogo e deve continuare a esserlo.