A giudicare dagli attacchi del governo, si direbbe che a impedire il rimpatrio di migliaia di irregolari siano due giudici di Catania. Peccato che i numeri raccontino un’altra storia e che nel centro siciliano di Modica, a oggi l’unico dedicato alle procedure di frontiera, i migranti siano pochissimi. “Quando lo abbiamo visitato, lunedì 9 ottobre, c’erano solo quattro tunisini”, racconta l’avv. Riccardo Campochiaro, sul posto con una delegazione del Tavolo Asilo e Immigrazione. Inaugurato il 25 settembre dopo un’estate di sbarchi – 140 mila nel 2023 – fino a oggi il centro non ha ospitato che una ventina di persone. Colpa dei giudici di Catania che continuano a non convalidare i fermi disposti dalla Questura di Ragusa? È quanto sostengono Meloni e i suoi, che parlano di “decisioni ideologiche”. Anzi, dopo il video che la ritrae a una manifestazione a Pozzallo, la giudice Iolanda Apostolico è diventata il nemico pubblico numero uno. Insieme al collega Rosario Cupri è competente per il centro di Modica: la Questura trattiene i richiedenti asilo per facilitare i rimpatri e loro li rimettono in libertà perché, scrivono, le regole introdotte dal governo contrastano con le direttive europee.
Il Viminale ha promesso di impugnare tutti i provvedimenti, ma al netto della questione giuridica i conti non tornano. Andiamo con ordine: la nuova procedura di frontiera, che subordina il permesso di entrare in Italia all’esame accelerato della richiesta d’asilo, consente di trattenere chi entra eludendo i controlli, soprattutto chi proviene da Paesi considerati sicuri quindi con scarse possibilità di ottenere asilo. Tra i principali Paesi d’origine per numero di arrivi via mare, gli unici “sicuri” secondo la legge italiana sono Costa d’Avorio e Tunisia per un totale di 31 mila sbarchi da inizio dell’anno.
Dopo l’inaugurazione di Modica, a ottobre sono sbarcati 492 ivoriani e 724 tunisini. Eppure la maggior parte degli 84 posti del centro resta vuota. Criteri di selezione? “Non ne vedo”, ragiona l’avvocato Campochiaro dopo la visita del 9 ottobre, quando nel centro erano transitate appena 17 persone, tutti tunisini, la maggior parte già usciti perché il Tribunale di Catania non aveva convalidato il trattenimento. La delegazione ne ha incontrati un paio e nel centro ce n’erano quattro. Effetto deterrente delle toghe catanesi? La verità è decisamente più banale. A spiegare come stanno le cose è stato un funzionario della Questura di Ragusa presente al sopralluogo del 9 ottobre. “La Questura riferisce che nella struttura detentiva vengono portati, al momento, i migranti arrivati in altri luoghi di sbarco (Lampedusa), che hanno manifestato la volontà di richiedere protezione internazionale e che provengono da Paese di origine sicuro”, riporta Campochiaro nel rapporto scritto per l’Asgi, l’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione. “Viene comunque riferito che non a tutte le persone in questa condizione si applica la procedura di frontiera, la logistica non è sufficiente e non si farebbe in tempo a inviare la richiesta di convalida entro 48 ore”.
Insomma, più di così non si riesce a fare perché mancano i mezzi. Poche parole e le promesse di moltiplicare i rimpatri sbiadiscono. Il Fatto ha chiesto alla Questura informazioni su organici e carichi di lavoro, ma ad ora non c’è risposta.
Che fine fanno allora le altre migliaia di migranti provenienti dai Paesi sicuri? Se fanno richiesta d’asilo, come accade nella maggioranza dei casi, vengono inviati al sistema di accoglienza e si applica la procedura accelerata che obbliga a un primo esame entro sette giorni. Ma se la Commissione territoriale respinge la domanda e il richiedente fa ricorso si va in tribunale.
A proposito di mezzi, quello di Catania è alle prese con i ricorsi del 2018. E c’è dell’altro. Mentre si incaponisce sui 19 tunisini trattenuti e rilasciati da Modica, il governo si disinteressa delle regole che vanno rispettate senza se e senza ma. Negli altri due centri del comprensorio, quello per richiedenti di Pozzallo e quello per minori non accompagnati di contrada Cifali, centinaia di persone vivono tra “condizioni igieniche sanitarie indecorose, cure mediche insufficienti, sovraffollamento e promiscuità”, denuncia Campochiaro.
Entro 72 ore dovrebbero lasciare l’hotspot verso i centri di accoglienza, ma non accade. “In un luogo isolato con 150 posti ci sono stati anche più di 300 minori e non sono mancate le fughe. Ne abbiamo incontrato uno di 12 e uno di 14 anni, in viaggio da due e nel centro da settimane”, conferma Fausto Melluso dell’Arci. “Vanno spostati subito e gli va assegnato un tutore, invece accade solo una volta lasciato l’hotspot: questo sì è contro la legge”.