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“L’atto umanitario è il più apolitico di tutti gli atti, ma se le sue azioni e la sua eticità vengono presi sul serio, può avere le più profonde implicazioni politiche”. Lo affermò il presidente di Medici Senza Frontiere, James Orbinski, a Stoccolma nel 1999, nel ricevere il Premio Nobel per la Pace. E resta vero anche se troppe volte dopo di allora la politica si è fatta guerra, calpestando i principi dell’umanitarismo e costringendo le donne e gli uomini di MSF a missioni disperate per salvare vite umane in ben 80 diverse aree di intervento. Compresa l’Italia, dove ha attrezzato la nave Geo Barents per il soccorso nel Mediterraneo.
Scegliere “il più apolitico degli atti”, finanziando con una sottoscrizione popolare la struttura di MSF che non smette di operare a Gaza in condizioni disperate, è il nostro modo di schierarci dalla parte giusta. Perché curare i feriti di una popolazione tenuta in ostaggio dal terrorismo di Hamas e bersagliata da una rappresaglia israeliana che ha di molto oltrepassato il diritto alla difesa e i limiti della proporzionalità, risulta oggi l’unico atto concreto praticabile da chi voglia ribellarsi alla condizione di spettatore passivo. Più di mezzo secolo di missioni efficaci, temerarie e generose, garantiscono che i soldi destinati a Medici Senza Frontiere finiscono in buone mani. Curano persone altrimenti destinate all’abbandono. Qualunque opinione si abbia sulle cause del conflitto riesploso il 7 ottobre e sulle sue possibili soluzioni, chi crede nella civiltà del diritto non può che sostenere il personale medico che a Gaza opera, per l’appunto, in condizioni di palese violazione del diritto internazionale.
MSF si è data una sola regola: portare cure urgenti ai feriti. C’è chi per questo l’ha accusata di limitarsi a mettere cerotti sulle ferite del mondo; ma è solo l’alibi di chi non fa nulla. Loro agiscono, e noi possiamo aiutarli.