Più di 1.000 firme in pochi giorni da parte di giudici civili e penali, pm e tirocinanti. La petizione è quella promossa dal procuratore di Ascoli Piceno, Umberto Monti, contro la separazione delle carriere in magistratura. E a questa si aggiunge un documento sottoscritto da 576 magistrati in pensione. Da anni pallino del centrodestra, il principio è in cima ai pensieri del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ne parla continuamente e a luglio dichiarò: “Va fatta, esiste in tutto il mondo”.
Per realizzare la separazione tra magistratura inquirente e giudicante servirebbe una riforma costituzionale, che per i 1.028 sottoscrittori della petizione (527 giudici civili e penali, 471 pm e 30 magistrati tirocinanti) “non porterebbe alcun beneficio sul piano della rapidità ed efficacia del sistema penale”, bensì comporterebbe “rischi concreti verso una dipendenza gerarchica del pubblico ministero dal Governo e un controllo da parte della maggioranza politica sull’esercizio dell’azione penale e sulla conduzione delle indagini”. Inoltre, notano i pm in pensione, la riforma rappresenterebbe un boomerang anche per gli avvocati, che la sostengono. “Oggi – si legge nell’appello – il pubblico ministero (…) è obbligato a cercare anche le prove favorevoli all’indagato e non di rado chiedere l’assoluzione”, ma “avverrebbe lo stesso con un pubblico ministero che si è formato nella logica dell’accusa ed è del tutto separato dalla cultura del giudice? Oggi il pubblico ministero è valutato dal Csm anche per il suo equilibrio e non certo per il numero di condanne che è riuscito ad ottenere”. La petizione fa notare che, a fianco alla separazione delle carriere, “viene proposto anche un indebolimento del principio di obbligatorietà della azione penale” e la “modifica della composizione del Csm con aumento della componente di nomina parlamentare, con conseguente incremento dell’incidenza della politica.
La documentazione con tutte le firme è stata inviata alla premier Giorgia Meloni, al ministro Nordio, ai presidenti delle commissioni giustizia e ai presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato. Tra i sottoscrittori spiccano i nomi dei procuratori , Nunzio Fragliasso (Torre Annunziata), Nicola Gratteri (Napoli), Pino Montanaro (Taranto), e degli aggiunti Giuseppe Cascini (Roma) e Tiziana Siciliano (Milano) e di Piergiorgio Morosini, presidente della Tribunale di Palermo.
Ecco di seguito il testo della petizione.
I sottoscritti magistrati in servizio, giudici e pubblici ministeri, esprimono la più viva preoccupazione per la riforma costituzionale che si propone di introdurre la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, e condividono pienamente al riguardo il documento firmato da 576 magistrati in pensione e che si allega. Una riforma che non porterebbe alcun beneficio sul piano della rapidità ed efficacia
del sistema penale e della risposta alle aspettative di ciascuno per una giustizia giusta, imparziale ed equanime.
Una riforma che, pur in assenza di tali benefici, comporta i rischi concreti (che sembrano anzi esserne il vero “motore”) verso una dipendenza gerarchica del Pubblico Ministero dal Governo e un controllo da parte della maggioranza politica sull’esercizio della azione penale e sulla conduzione delle indagini; controllo sul Pubblico Ministero e sull’esercizio della azione penale che sarebbero una ineludibile conseguenza della separazione delle carriere e della discrezionalità della azione penale di cui la riforma pone le chiare premesse (tant’è che nella quasi totalità dei Paesi dove vi è la separazione delle carriere vi è anche la dipendenza dei PM dal Governo, con la differenza non secondaria in molti di tali Paesi della presenza del Giudice Istruttore a presidiare la indipendenza e imparzialità delle indagini).
E va anche ricordato significativamente che le Risoluzioni Europee raccomandano ai Paesi membri di prevedere e consentire il passaggio di funzioni tra PM e Giudice come uno dei meccanismi di garanzia per la necessaria indipendenza e autonomia del PM. Una riforma quindi che andrebbe a toccare equilibri delicatissimi rischiando di erodere i principi di uguaglianza di ciascuno davanti alla legge, di trasparenza e imparzialità nell’esercizio dell’azione penale e di esercizio autonomo e indipendente della giurisdizione.