L’inquinamento da plastica rappresenta una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi, perché pervade ogni ambito della nostra vita, anche quando non ce ne accorgiamo. Ad esempio, ogni volta che laviamo i nostri capi in lavatrice, produciamo – con un solo carico – tra i 6 e i 17 milioni di microfibre: invisibili particelle di plastica che né i filtri delle lavatrici, né gli impianti di depurazione riescono a catturare, a causa delle loro dimensioni infinitesimali. Così, ogni anno, circa mezzo milione di tonnellate di microfibre, pari a un terzo dei 13 milioni di tonnellate di plastica che si riversa in mare, raggiunge le nostre acque proprio a causa del lavaggio dei vestiti: l’equivalente di 50 miliardi di bottiglie di plastica, che vengono ingerite dagli organismi marini, entrando così nella catena alimentare.
L’industria del fashion, in particolare quella del fast fashion, è tra i maggiori responsabili dell’inquinamento: produce oltre il 10% delle emissioni globali di CO2, del 20% delle acque reflue industriali e del 20% dei rifiuti globali. Più del 60% del materiale usato per produrre l’abbigliamento mondiale è di origine plastica, come poliestere, nylon e acrilico che incidono in maniera importante sulla crisi climatica, non soltanto perché per la loro produzione vengono utilizzati combustibili fossili, ma anche perché con i loro tessuti rilasciano migliaia di microplastiche in mare.
Già nel 2018, Marevivo è stata la prima associazione italiana a porre l’attenzione sul problema, lanciando la campagna #StopMicrofibre. Dopo anni di attività di sensibilizzazione sul tema, la Fondazione ambientalista ha organizzato, a bordo della Nave Scuola Palinuro della Marina Militare Italiana, un convegno che si inserisce nell’ambito di “Only One: One Planet, One Ocean, One Health”, la Campagna internazionale promossa da Marevivo, in collaborazione con Marina Militare e Fondazione Dohrn. Tra gli intervenuti, Caterina Occhio, Membro del Comitato Scientifico Sostenibilità dell’Accademia Costume&Moda, che ha sottolineato come il settore del fashion stia attraversando un momento di grande trasformazione, imposto, da un lato, da una maggiore richiesta di prodotti sostenibili da parte di consumatori più giovani e attenti e, dall’altra, da un quadro normativo europeo che sta finalmente tracciando la strada verso un cambiamento necessario.
Tra gli interventi più importanti, ricordiamo: il Regolamento Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) approvato il 12 luglio 2023 dal Parlamento europeo, che è solo una delle normative inserite nell’ambito della “EU strategy for sustainable and circular textiles” – lanciata nel marzo 2022 dalla Commissione UE per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili; la Corporate Sustainability Reporting Directive, che da quest’anno obbliga le aziende quotate a rendere conto del proprio impatto ambientale attraverso la pubblicazione di report di sostenibilità e la Green Claims Directive che punta a scoraggiare pratiche di greenwashing, introducendo parametri condivisi, scientificamente basati, per le etichette dei prodotti, tutelando così i consumatori.
Il fenomeno della dispersione delle microfibre in mare non è solo una minaccia per l’ambiente ma anche un grave problema per la nostra salute, come ha spiegato il professor Francesco Regoli, Direttore del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università Politecnica delle Marche, partner di Marevivo in numerosi progetti.
Il quadro è allarmante: le concentrazioni di microfibre nei nostri mari vanno da 1 fibra ogni 50 litri, fino ad oltre 25 fibre per singolo litro d’acqua. Abbiamo evidenze chiare della loro ingestione da parte degli animali marini, con frequenze che spesso superano il 90% degli organismi analizzati e le microfibre dai tessuti sono 10 volte più alti rispetto a quelli delle altre microplastiche. I loro effetti si stanno rivelando gravi per gli organismi che le ingeriscono e, anche se non è ancora chiaro quali siano le conseguenze sul nostro organismo, sicuramente sappiamo i danni che procurano ai pesci, come difficoltà nello sviluppo e nella riproduzione e cecità, per dirne soltanto alcuni.
Anche l’industria deve impegnarsi a sviluppare prodotti e servizi alternativi. Due sono gli esempi in questo senso: Pierluigi Fusco Girard, Amministratore Delegato del Linificio e Canapificio Nazionale, azienda certificata BCorp specializzata nella realizzazione di filati naturali con una forte etica ambientale, che offre alternative concrete e sostenibili alla plastica nel settore del packaging alimentare, come le reti per ortofrutta realizzate in lino, uno dei materiali più antico al mondo che – con il suo minimo impatto ambientale – detiene il primato di sostenibilità.
E, in rappresentanza del settore dell’industria elettrodomestica, Francesco Misurelli, Amministratore Delegato di Beko che è stata tra le prime aziende a cogliere questa sfida globale progettando FiberCatcher, sistema di filtraggio integrato nelle lavatrici di ultima generazione, in grado di trattenere oltre il 90% delle microfibre rilasciate dagli indumenti sintetici, e a occuparsi anche del corretto smaltimento del filtro, con l’installazione di punti di raccolta specifici.
A livello europeo, il problema è stato già affrontato in Francia, dove il governo renderà obbligatoria per i produttori l’installazione di filtri per le microplastiche alle lavatrici a partire dal 2025. Speriamo che questo accada presto anche in Italia, e che nell’ambito della strategia dell’UE per il tessile circolare e sostenibile, vengano imposti limiti all’utilizzo di fibre sintetiche da parte dell’industria.