LEGGI – Telefonata fake, ma Meloni dice la verità sull’Ucraina: “Controffensiva fallita”
Ci voleva la voce calda e affettuosa di un fanta-diplomatico africano per far dire a Giorgia Meloni quel che per oltre un anno non ha potuto sostenere in pubblico. Dentro l’ilarità del contesto, le parole della premier al duo comico Vovan e Lexus sono molto serie e descrivono uno scenario sulla guerra in Ucraina in netta contraddizione con quanto dipinto fino a oggi da Meloni in ogni sede possibile, dai vertici internazionali fino alla masseria di Bruno Vespa.
Se ora la presidente del Consiglio ammette una certa “stanchezza” nei confronti del conflitto e si augura che anche gli altri leader “capiscano che abbiamo bisogno di una via d’uscita accettabile da entrambe le parti”, fin dal suo insediamento la premier ha deriso chiunque, dalla società civile all’opposizione (soprattutto i 5 Stelle di Giuseppe Conte e l’Alleanza Verdi Sinistra) chiedesse di fermare le armi, insistendo sul sostegno all’Ucraina “fino alla vittoria”.
Chissà se in cuor suo già il 26 ottobre di un anno fa, nel suo primo discorso da premier in Senato, Meloni coltivava qualche dubbio sull’oltranzismo atlantico. Di certo non lo dava a vedere, se è vero che liquidava così le richieste di portare avanti uno sforzo di pace tra Kiev e Mosca: “A una pace giusta non si arriva sventolando bandiere arcobaleno alle manifestazioni. L’unica possibilità, da che mondo è mondo, di favorire un negoziato nei conflitti è che ci sia equilibrio tra le forze in campo”. Il tutto accompagnato dal gesto delle due mani una accanto all’altra, a mimare – appunto – il pareggio tra le potenze in conflitto. Posto che la Russia è una potenza atomica e che dispone di un esercito di dimensioni imparagonabili a quello ucraino, va da sé lo sforzo richiesto alla Nato per pareggiare “le forze in campo”.
Ma questa è rimasta la strategia del governo, convinto delle potenzialità della controffensiva di Kiev, che ora Meloni riconosce non essere andata “come ci si aspettava”. È il 26 aprile quando Meloni, alla Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, arringa i presenti ricorrendo alla retorica della “vittoria” degli invasi: “Non abbiate paura di scommettere sulla vittoria dell’Ucraina e sulla sua integrazione europea”. Concetto ribadito il 13 maggio, dopo l’incontro con Zelensky, col solito bizzarro stratagemma narrativo della scommessa: “Scommettiamo sulla vittoria dell’Ucraina”.
Armi a oltranza, quindi, finché ce n’è bisogno. Il 10 maggio la premier lo chiarisce: “Abbiamo confermato il sostegno all’Ucraina a 360 gradi fin quando sarà necessario”. Altro che negoziato: “Alla pace si arriva solamente quando la Russia cesserà le ostilità, gli attacchi agli obiettivi civili” (26 aprile). Con la Nato non si scherza: “Il presidente Meloni – dice una nota di Palazzo Chigi dopo la telefonata con Joe Biden del 3 ottobre scorso – ha confermato il continuo e convinto supporto del governo italiano alle autorità ucraine in ogni ambito finché sarà necessario e con l’obiettivo di raggiungere una pace giusta, duratura e complessiva”. Cosa significa? Che non c’è mediazione senza la ritirata russa dai territori occupati: “Confermo il pieno sostegno finché necessario, auspichiamo passi per favorire una pace giusta e rispettosa dell’integrità territoriale” (5 aprile). D’altra parte “l’Ucraina sta combattendo anche per noi” (13 maggio) e quindi riecco la ricetta del “se vuoi costringere delle persone a sedersi a un tavolo ci deve essere equilibrio” (25 luglio).
Tutte argomentazioni che per mesi si sono nutrite del mito della controffensiva ucraina, presentata come momento risolutivo del conflitto. Infatti il 9 giugno, quando Bruno Vespa ospita Meloni nella sua masseria, la premier parte da lì di Kiev per ribadire il suo credo, sbeffeggiando le posizioni del M5S e dei pacifisti: “Per aprire un tavolo di trattativa oggi, quali sono le condizioni che siamo disposti ad accettare? Che si riconoscano i referendum illegittimi che la Russia ha celebrato? Che si riconoscano le parti di territorio ucraino che sono state invase? Queste sono le condizioni della pace”. All’epoca erano innocue domande retoriche con un palese “no” sottinteso dalla premier. Oggi, grazie a uno strampalato duo comico russo, si è capito che probabilmente la risposta di Meloni sarebbe tutt’altra.
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