Giorgia Meloni aveva appena sfogato il suo sdegno fuori tempo massimo per il famoso fuorionda di Conte che parlava con la Merkel nel 2019 (“Il nostro punto più basso all’estero! Mai più!”), quando è stata beccata a discutere per un quarto d’ora dei fatti nostri, nonché di Ucraina, Russia, Francia, Africa e Onu con un comico russo che si spaccia per un leader africano. I paralleli con Totò finto ambasciatore del Catonga in Totòtruffa ’62 e con Fantozzi che chiama il megadirettore ereditario visconte Cobram con patata in bocca, molletta sul naso, pentola in testa e accento svedese, si sprecano. Ma nell’inconsapevole gag c’è anche qualcosa di serio.
1. I controlli e i filtri di sicurezza del governo sono, se possibile, più perforabili dei confini da quando li presidia la destra. Il primo che capita chiama Palazzo Chigi con un nome a caso e gli passano subito la premier. Dare almeno un’occhiata al prefisso pare brutto. Complimenti allo staff del consigliere diplomatico Francesco Talò: Talòtruffa ’23.
2. Per il sottosegretario-portavoce Giovanbattista Fazzolari, lo scherzo non dimostra che siamo governati da un cast di comici dilettanti, ma che “la propaganda russa è disperata per il catastrofico andamento dell’‘operazione speciale’ in Ucraina… una continua sconfitta”. Peccato che la Meloni dica ai due comici professionisti l’esatto contrario: “La controffensiva ucraina non sta andando come ci si aspettava”. Kiev e la Nato perdono, Mosca vince.
3. Il comico amatoriale Fazzolari spiega che “Meloni non cade nella trappola dei propagandisti russi e conferma la linea italiana di sostegno all’Ucraina”. Cioè: il fatto che sia caduta nella trappola dimostra che non è caduta nella trappola. Purtroppo è vero l’opposto. Meloni, conversando con i due comici, ribalta di 180 gradi la linea italiana di sostegno all’Ucraina. Infatti parla per la prima volta di “una via d’uscita accettabile per entrambe le parti”, cioè per gli aggrediti ucraini e per l’aggressore russo. Un compromesso, come i “putiniani” e i “pacifinti” avevano sempre chiesto, beccandosi insulti e irrisioni dagli atlantisti, Meloni compresa. Quelli che “non si tratta col nemico” e “l’unica pace giusta è il ritiro dei russi”. Il 13 dicembre scorso, alla Camera, la Meloni sbeffeggiava i Conte e i 5Stelle contrari al nuovo decreto per armare Kiev sine die: “Cosa intendete voi per ‘avviare negoziati’? L’Ucraina deve arrendersi per ottenere la pace? O pensate di convincere i russi a ritirarsi offrendogli il reddito di cittadinanza?”. Ora il negoziato lo vuole lei, però “aspetto il momento giusto” (massì, lasciamo morire ancora qualche migliaio di ucraini).
Visto che l’unico modo per cavarle qualcosa di vero è farle uno scherzo, confidiamo in una pronta chiamata dal Catonga.