La trovata di utilizzare l’Albania come discarica per lo stoccaggio dei migranti intercettati nel Mediterraneo prima che raggiungano le nostre coste è un tipico esempio di furbizia italica. La si chiama “accoglienza offshore” per mascherare il cinismo di questa pesca a strascico. Si ricorre all’espediente giuridico dello “sbarco in un Paese terzo” per aggirare le vigenti normative Ue. Fingiamo di prendere sul serio le rassicurazioni del premier albanese Edi Rama che si presterebbe alla bisogna non per soldi, figuriamoci, ma solo per riconoscenza. Soprattutto viene rilanciato quel cattivismo di governo in materia d’immigrazione su cui la destra ha sempre lucrato voti pur senza risultati pratici.
Anche stavolta è da escludersi qualsivoglia effetto dissuasivo sui disperati che affidano la loro sorte al viaggio in mare. L’elettorato di destra sa benissimo che Giorgia Meloni non fermerà le partenze con la minaccia di dirottarli verso Tirana. Non stroncherà il traffico illegale. Non sarà in grado di organizzare rimpatri forzati di massa. A tutti è chiaro che è impossibile. Ma al nostro governo basta rassicurare chi ama sentirsi dire dall’alto: “Non li vogliamo, se li prenda qualcun altro”. E allora, se è più facile allestire due Centri di Permanenza e Rimpatrio nella nostra ex colonia piuttosto che nelle riluttanti regioni italiane, approfittiamo dell’altrui bisogno. Paghiamo per tenerne alla larga almeno qualche migliaio, a favore di telecamere.
Chi vuol replicare sull’altra sponda dell’Adriatico il disonorevole codice Minniti già applicato in Libia lo fa per mere finalità propagandistiche. In Albania non allestiremo né una Guantanamo italiana né una Gaza italiana, ma solo uno specchietto per le allodole. Siamo stati e resteremo un impero da operetta. Almeno finché resterà al potere una classe dirigente specializzata nel trattare l’immigrazione come serbatoio di rancore – già da quando se la prendeva con gli albanesi – anziché fattore necessario dell’economia e della convivenza pacifica future.