“La memoria non si vende”. Se i simboli sono importanti, a certe latitudini lo sono ancora di più. Ecco perché la battaglia dell’associazione “Officina n.8” per salvare la Casa del popolo di Rosarno intitolata a Giuseppe Valarioti non è solo una banale raccolta fondi con cui un gruppo di giovani si sta dando da fare per rilevare entro poche settimane un immobile di circa 200 metri quadrati al centro di una delle cittadine a più alta densità mafiosa della provincia di Reggio Calabria. Il rischio è che la casa del Popolo di Rosarno, fondata grazie alle migliaia di donazioni ricevute da tutta Italia all’indomani dell’omicidio Valarioti, diventi altro da quello che è stato negli ultimi 43 anni cioè un luogo di assemblee pubbliche, dibattiti, eventi culturali, un circolo Arci e sede di movimenti politici, presidio di confronto e democrazia. Ma anche un punto di riferimento per un territorio disabituato alla partecipazione civica e politica e sottomesso alle logiche di ‘ndrangheta. Tutto a poche decine di metri dalla piazza che, come la “Casa del popolo”, porta il nome del giovane insegnante di Rosarno, figlio di contadini e segretario della sezione del Pci.
Eletto consigliere comunale, Peppe Valarioti era tutto questo e nella sua Rosarno, dove comandavano i Pesce e i Bellocco, dava fastidio perché aveva una visione moderna della lotta alla mafia. Una visione che puntava a delegittimare i boss strappando loro potere e consenso. Insopportabile nella Piana di Gioia Tauro dove i clan controllavano, e in parte controllano ancora, tutto, pure il respiro delle persone. E se l’auto incendiata al compagno Peppino Lavorato, sempre al fianco di Valarioti, o l’incendio appiccato alla sezione locale del Pci di Rosarno, non erano stati messaggi sufficientemente inquietanti per l’epoca, la ‘ndrangheta alzò il tiro e la sera dell’11 giugno 1980, dopo una cena organizzata per festeggiare una vittoria elettorale, ammazzò quel giovane segretario comunista che a soli 30 anni ai Pesce e ai Bellocco voleva far mancare il terreno sotto i piedi. A colpi di lupara: si consumò così il primo omicidio politico eseguito dalla ‘ndrangheta.
Il nome e il volto di Peppe Valarioti sono lì, sulla facciata della Casa del popolo. I figli e i nipoti dei boss che decisero il suo omicidio lo devono vedere tutti i giorni quando passano in via Elvethia 8, lo stesso civico da cui prende il nome l’associazione “Officina n.8” che oggi si sta battendo per salvare l’immobile, un tempo di proprietà del Pci e oggi l’ultimo bene in Calabria che la Fondazione Diesse deve vendere nell’ambito del piano di dismissione del suo patrimonio. Per farlo ha affidato l’incarico a un’agenzia immobiliare creata ad hoc che nei mesi scorsi aveva preso contatti con la Spi-Cgil che, così, da una parte avrebbe impedito che la Casa del popolo finisse in mano ai privati e dall’altra avrebbe trasferito in quei locali anche la propria sede. Il sindacato, però, ha fatto un passo indietro per lasciare spazio al progetto di “Officina n.8” che adesso dovrà raccogliere 27mila euro.
La cifra non è esorbitante ma se rapportata all’età dei componenti dell’associazione, quasi tutti sotto i 30 anni, non è semplice in poche settimane mettere insieme così tanti soldi. Così è nata la campagna di crowdfunding “Produzioni dal basso” che ha l’obiettivo di salvare “un luogo simbolo che ha svolto un ruolo centrale nella vita politica e sociale di Rosarno negli ultimi quarant’anni”. È quanto si legge nell’appello di “Officina n.8” secondo cui “la proprietà della Casa del popolo sarà venduta entro la fine di novembre. Il rischio è che finisca nelle mani di realtà che pur condividendo un patrimonio valoriale non sentono propria la storia di questo luogo, non avendolo vissuto, sbiadendo così una memoria importante e snaturando l’anima della Casa del popolo. Oppure, situazione ancora peggiore, che venga acquistata da un privato che cancelli totalmente un simbolo storico e culturale così importante”.
“Ci rivolgiamo – si legge nella nota stampa – ad associazioni, realtà culturali, movimenti, istituzioni e cittadini per salvare la Casa del Popolo Valarioti e assicurarne un futuro fatto di nuove attività e servizi per la comunità, eventi culturali e di riflessione, un luogo in memoria di Peppe Valarioti e al contempo un centro di ricerca e divulgazione. Ora è il momento di agire per preservare un simbolo così importante per Rosarno e per tutte quelle persone che credono che i valori della democrazia, dell’antimafia e della memoria siano i cardini di una società civile e sana, ora più che mai necessaria”.
“La raccolta fondi è partita mercoledì scorso e in quattro giorni siamo arrivati a circa 5mila euro” (qui il link). Angelo Carchidi è il portavoce di “Officina n.8”. Ha 35 anni ed è ottimista: “La speranza è che questo flusso, nonostante sia un po’ lento, possa velocizzarsi nelle prossime settimane. Se non dovessimo arrivare a 27-28mila euro entro il 20 novembre le strade sono due: o ci tassiamo come componenti dell’associazione per coprire la parte che manca o la Casa del popolo chiude e a quel punto potrebbe diventare anche una pizzeria o un appartamento privato. Noi faremo in modo che non si arrivi a questo però abbiamo bisogno di aiuto. Il nostro progetto vuole rilanciare uno spazio davvero per il popolo e per tutta la comunità dove offrire servizi culturali e sociali e al contempo mettere maggiormente in risalto la figura di Peppe Valarioti”.
La pensano così anche i familiari del segretario del Pci ucciso dalla ‘ndrangheta, come la pronipote Vanessa Ciurleo: “Noi siamo venuti a conoscenza del fatto che volessero vendere la ‘Casa del popolo’ qualche settimana fa. – spiega – È stato un grande colpo proprio per l’importanza di quel luogo, per come era stato acquistato tramite sottoscrizione popolare subito dopo la morte di Peppe. Anche per noi familiari la Casa del popolo ha un significato profondo. È un luogo simbolo, un luogo di memoria in una Rosarno un po’ carente di presidi di legalità”. Tutta questa vicenda, però, secondo Ciurleo potrebbe rappresentare anche un’opportunità: “Cerco di essere ottimista – dice – Probabilmente acquistando questo immobile potremmo rilanciarlo in modo diverso, scansarlo dalle logiche di partito e dedicarlo esclusivamente alla memoria di Peppe”.
Le lancette della memoria vanno sempre a quel maledetto 1980. A fianco di Valarioti, in quegli anni, c’era Peppino Lavorato che poi divenne deputato ma soprattutto sindaco di Rosarno. Si era candidato nel 1993, quando davanti alla porta della sede del partito gli fecero trovare una testa di vitello con il muso tagliato, e fu eletto nel 1994, quando il messaggio della ‘ndrangheta arrivò addirittura durante lo spoglio elettorale: in una scheda, infatti, di lato al suo qualcuno scrisse: “Farai la fine di Valarioti”.
Ieri come oggi, a 85 anni, Peppino Lavorato è dalla stessa parte. Un po’ acciaccato per l’età, ma è sempre combattivo. Non a caso è uno dei più solidi punti di riferimento della sinistra calabrese. Anche lui si batte per la “Casa del popolo Giuseppe Valarioti”. Secondo Lavorato potrebbero convivere sia l’ipotesi che l’immobile venga rilevato dalla Cgil (“l’organizzazione di Giuseppe Di Vittorio, dei braccianti uccisi a Portella della Ginestra e dei tantissimi sindacalisti trucidati dalle mafie”) sia il progetto di “un nutrito gruppo di maturi e giovani compagni che esprime ferma volontà di mantenere l’immobile sempre funzionale alle finalità per le quali è nato”.
Ragioni che, per Peppino Lavorato, “sono ancora tutte presenti. – spiega – E necessitano che la lotta contro la ‘ndrangheta ed i poteri criminali riprenda slancio con un efficace impegno politico, sociale e culturale, in particolare verso i soggetti più deboli, sofferenti e le nuove generazioni. Nei cui confronti la società e lo Stato italiano hanno accumulato torti immensi che possono e devono essere risarciti soltanto da un grande impegno finalizzato al pieno recupero sociale di quanti sono in pericolo di devianza”.