Si potrebbe dire che parliamo di occhiali. Tra Cinque e Seicento un poligrafo geniale come Traiano Boccalini scrisse, nei suoi Ragguagli di Parnaso, di quelli fabbricati nell’officina di Tacito, che permettevano ai lettori di leggere la realtà del potere ben al di là degli interessi della Ragion di Stato, strumento più che altro necessario a “cavar denari dalle mani de’ popoli”. Gli occhiali diventano “la lente critica” in L’economia è politica (Fuori Scena, Gruppo Cairo) di Clara Mattei – economista della New School for Social Research di New York e, tra le altre cose, collaboratrice del Fatto Quotidiano – ma per come è messo il dibattito pubblico forse questo libretto assomiglia più a un tentativo di rieducazione motoria che alla fornitura di buone lenti: re-imparare a camminare, “in nuove terre per antiche strade” secondo una formula felice.
Intanto, siano avvertiti i lettori, nel testo si imbatteranno in parole ormai desuete, espunte dall’uso comune: il sistema economico vigente viene addirittura chiamato “capitalismo”, come se fosse una forma storica e non un dato di natura (spoiler ironia), l’espressione “lavoro salariato” è usata come sinonimo di “sfruttamento” etc. La tesi di fondo è semplice, ma risulterà comunque sorprendente per i più: “L’ordine del capitale ha una natura essenzialmente relazionale, quindi politica”, una visione scontata per gli economisti classici (Marx, certo, ma anche Adam Smith e David Ricardo), sostituita un centinaio d’anni fa da una “economia intesa come una scienza pura e oggettiva, che risponde a leggi inaggirabili. Non ci sono alternative, non ci resta altro da fare che affidarci agli esperti”.
Il più grande inganno del diavolo è stato far credere al mondo che non esiste: “L’ordine del capitale non è un dato naturale garantito una volta e per sempre, al contrario, esso va costantemente difeso”. A questo serve l’austerità tanto fiscale (sulla spesa pubblica), che monetaria (le banche centrali indipendenti come “scala mobile” della rendita) o industriale (le politiche anti-sindacali). Una cassetta degli attrezzi creata un secolo fa col contributo anche di studiosi italiani: “Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni, Umberto Ricci e, last but not least, Luigi Einaudi”. Per chi avesse dubbi sull’accostamento, sappia che il catalogo è opera di Alberto De’ Stefani, primo ministro delle Finanze (e poi anche del Tesoro) di Mussolini in una lettera allo stesso Einaudi (“ai giovani io consiglio le opere di quattro grandi fascisti italiani non militanti e non tesserati”, quelli di cui sopra appunto).
È a questo punto che potrete misurare la distanza di questo libretto dalle posizioni critiche comm’il faut: “Coloro che vogliono essere critici dell’austerità perdono di forza politica se credono semplicemente di sminuirla riducendola a un ‘errore di policy’, incapace di abbassare il debito e di aumentare la crescita. È chiaro, infatti, che essa si occupa di una questione assai più fondamentale: assicurarsi che non vi siano alternative al vivere come lavoratori sfruttati”. Ne consegue un altro fatto dimenticato: “Nella nostra società l’intervento dello Stato in chiave redistributiva (assistenza sanitaria, alloggi sovvenzionati, sussidi di disoccupazione o redditi di cittadinanza) ha dei limiti politici ben precisi: non può spingersi fino a violare il presupposto della dipendenza dal mercato”.
Reimparare a camminare, riconoscere conflitto (cioè politica) dove si chiede responsabilità, ricordarsi che “la fiducia dei mercati è inversamente proporzionale al benessere dei cittadini” passa anche per il gusto di concedersi domande ingenue, da bambini, che nessuno ritiene più di doversi e dover fare: “Perché la stragrande maggioranza delle persone dipende dal mercato per vivere?”. Il mondo produce cibo in quantità tale da sfamare l’intera popolazione mondiale, eppure 800 milioni di persone soffrono la fame e questo mentre un terzo di quel cibo viene buttato ogni giorno perché non è stato venduto. Com’è possibile che accada? “Ciò che è irrazionale secondo la logica dei bisogni è invece del tutto razionale secondo la logica dei profitti”. Ma è accettabile?
Certo, quando uno ha imparato a camminare vorrebbe subito correre da qualche parte: purtroppo non c’è posto dove andare e non si sa neanche con chi andarci. Non è colpa di nessuno, men che meno di una giovane economista italiana che insegna a New York, ma “delle repliche della Storia bisogna pur tener conto. La Storia a volte è nemica. Lo è stata in particolare negli ultimi decenni, da quando è stata abbattuta l’unica forza politica che la contestava”. Lo ha scritto l’anno scorso Mario Tronti, marxista “nel mondo ma non del mondo” fino al 7 agosto 2023. Saper camminare, comunque, è già molto.