Giusto stigmatizzare la “coscrizione obbligatoria” negli opposti schieramenti. Niente è più in contrasto con la tragedia in corso della mobilitazione delle tifoserie. Ma neppure si può avallare l’ignavia di chi, per calcolo o pavidità, rifugge la responsabilità di esporsi con un giudizio. Quando le circostanze oggettivamente lo prescrivono alle nostre coscienze. O anche solo quando si tratta di chiamare le cose con il loro nome. Il vostro parlare sia sì sì no no. Stante la complessità della materia, è decisamente difficile distribuire con sicurezza le ragioni e i torti. E tuttavia è dovere di tutti fare prevalere sul pur necessario computo di essi le ragioni superiori dell’umanità e della razionalità. Non farsi accecare dalle emozioni e dal risentimento per operare uno scatto all’insù, appunto verso umanità e razionalità.
La prima – l’umanità – prescrive di nutrire umana pietà verso le vittime. Tutte, quelle di entrambi i fronti. La seconda – la razionalità – dovrebbe suggerire alcuni punti fermi. Eccone alcuni.
Nulla può giustificare la mattanza del 7 ottobre, ma è doveroso interrogarsi sulle radici prossime e remote del conflitto, non fosse altro perché ciò è necessario per immaginare praticabili vie d’uscita; l’agognata sicurezza si può dare solo se essa è reciproca, inscindibile e garantita per i due popoli, oggi entrambi privi di una guida riconosciuta e autorevole; la bussola non può che essere il diritto, ovvero quei dispositivi ideati dagli uomini per elaborare e implementare soluzioni, le meno ingiuste possibili nelle condizioni date.
Lungo i secoli e ancora negli anni recenti, tra i criteri messi a punto sia dalla morale (vedi l’insegnamento sociale della chiesa) sia dal diritto, ai primi posti figurano due principi: la cura di preservare le popolazioni civili e la proporzionalità nell’esercizio della legittima difesa. Ecco il punto: palesemente Israele, ostaggio di Netanyahu, si è spinto oltre quei principi con i suoi incessanti bombardamenti su Gaza (la contabilità dei morti non è tutto, ma conta pure qualcosa). Respingendo gli stessi accorati appelli alla moderazione di amici e alleati, Usa in primis, sempre più distanti dal premier israeliano, sulla pausa umanitaria e sul dopo Gaza. I diecimila morti non possono essere derubricati a danni collaterali. Né, secondo il diritto, può essere giustificata la catastrofe umanitaria prodotta dall’assedio a Gaza con il taglio di acqua, luce, carburante.
Ragione e diritto prescrivono altresì che si sia disposti a dare fiducia alle autorità arbitrali sovranazionali e alle loro pronunzie. L’opposto della loro sistematica denigrazione spinta sino alla delegittimazione. Conosciamo i limiti (specie nell’efficacia) dell’Onu, ma essi non autorizzano a ignorarne i deliberati e a respingerne i moniti con parole insultanti.
La difesa armata deve altresì rappresentare la extrema ratio. A monte e a valle. Mi spiego: a monte, si deve essere certi, prima di ricorrere alle armi, di avere esperito senza successo tutte e ognuna le vie politico-negoziali; a valle, si richiede di inscrivere la propria azione nell’orizzonte, per definizione politico, di un futuro ordine ispirato alla giustizia e alla pace. L’impressione è invece che Israele non abbia le idee chiare circa il futuro, a valle del sanguinoso conflitto. Lo conferma la provocazione di Netanyahu subito sconfessata dagli Usa. So bene che si tratta di principi e regole esigenti, ma è l’ottemperanza a essi che qualifica gli Stati democratici che abitano il consorzio civile. Anche quando essi hanno a che fare con formazioni terroristiche che del tutto ignorano quei vincoli e dunque (gli Stati democratici) sono penalizzati da una statutaria, radicale asimmetria.
Chi è per davvero amico di Israele deve lealmente riconoscere i suoi errori e adoperarsi per fargli intendere come azioni che non corrispondano ai suddetti criteri, ripeto, ispirati a razionalità e diritto, abbiano un solo effetto sicuro: quello di accrescerne a dismisura l’isolamento internazionale e di irrorare il terreno della malapianta dell’antisemitismo. Esattamente ciò a cui mira Hamas, che di esso si nutre e su di esso fa affidamento.
È giusto far presente che vi è chi propone la sua cancellazione, ma Israele può permettersi moderazione, perché nutre una fondata fiducia – c’è chi ne dubita? – di avere argomenti e forza sufficienti per considerare velleitaria e direi persino impossibile la sua eliminazione. Può permettersi di dosare il ricorso alle armi chi è forte abbastanza. E Israele lo è, nelle sue ragioni e nella sua autodifesa, senza bisogno di eccedere.