Da quando sono nata e in seguito giunta in Italia, bambina nera e disabile, non ho fatto altro che rompere gli schemi. Una bambina nera a scuola negli anni 70 e poi una maestra nera che è dentro la scuola da un trentennio ormai. Chi l’avrebbe mai detto? Soprattutto chi mai avrebbe potuto prevedere che qualcuno, da un’ex colonia italiana, sarebbe diventata una formatrice di nuovi cittadini? Perché insegnare è anche questo: formare nuovi cittadini.
Quindi, io come pochi altri in Italia ho un po’ sconvolto uno status quo. È sicuramente una storia peculiare la mia e sarà tema del dialogo con Sara Franch dell’area Educazione – Ricerca e Sviluppo Erickson nella plenaria di venerdì mattina, 17 novembre, al 14° Convegno Internazionale Erickson “La qualità dell’inclusione scolastica e sociale” (Palacongressi di Rimini, 17-19 novembre). Avremo modo di parlare delle mie plurime identità, insegnante ma anche poeta e scrittrice, per passare alla mia storia di persona con disabilità e persona nera in una realtà che ha ancora difficoltà a trovarmi una collocazione, nonostante io sappia chi sono e qual è la mia storia.
Parleremo anche della forza che ho trovato nella scrittura, del coraggio di espormi con le mie poesie che sono un grido di dolore, di rabbia e di denuncia contro le ingiustizie e le discriminazioni, un grido per chi non ha voce perché in esse non ci sono solo io e la mia vita, ma anche la vita e le sofferenze di tanti e tante. La poesia è lo strumento per esprimermi ma anche un mezzo potente che insegno nelle mie classi, per dar modo ai miei studenti di raccontarsi, di aprirsi al mondo e di osservarlo con il cuore ma anche con spirito critico.
La mia partecipazione al convegno è per me un modo di contribuire alla varietà e alla ricchezza di un mondo scuola in cambiamento, volto al futuro, pronto a impegnarsi contro il razzismo, l’abilismo e le tante disparità presenti che affliggono la nostra società.
Nella tavola rotonda alla quale partecipo parleremo di “corpi a scuola”: quei corpi che sono stigmatizzati perché differenti da una certa “normalità” che ci perseguita da secoli, da quella consuetudine che dice che un corpo è normale se è sano, quindi se hai una disabilità sei escluso; un corpo è normale se è magro e indossa la taglia S, quindi se sei grasso, sei messo da parte e deriso; un corpo è normale se il suo genere è ben chiaro e definito e se senti di essere altro, sei strano e la normalità è nel bullo che abusa. Se per caso questo corpo è grasso, non binario o nero, cosa succede? Per rispondere dobbiamo collegarci al concetto di intersezionalità, introdotto da Kimberlé Crenshaw, docente di legge e femminista nera, la quale ci spiega che non si può comprendere pienamente la discriminazione e l’oppressione delle donne nere se si prende in considerazione solo un aspetto, ad esempio la razza (termine usato come costrutto sociale poiché è scientificamente provato che le razze non esistono) oppure il genere. Crenshaw, così come altre, ci indica che siamo una molteplicità di oppressioni e di discriminazioni poiché la razza, il genere, la classe sociale e la condizione fisica di disabilità si intrecciano e non possono essere disgiunte.
Durante il dibattito, parleremo anche di razzismo. Vedremo come la nostra società non ne è immune: esso è sistemico, istituzionale, interiorizzato e interpersonale. Analizzeremo situazioni in cui abbiamo avuto prova di atti discriminatori, avremo modo di esaminare dove si celano il pregiudizio e lo stereotipo: nelle parole che usiamo ogni giorno, nei testi scolastici, nelle immagini, nei cartoni e nei libri di narrativa; scopriremo che questa piaga permea vari strati della società e che la scuola non ne è esente, poiché anch’essa “ha svolto un ruolo fondamentale nell’imporre, promuovere e perpetuare i pregiudizi” (Insegnare il pensiero critico, pag. 57, bell hooks).
Ognuno di noi porta dentro di sé qualche pregiudizio poiché siamo la somma di un vissuto che lo ha tramandato nei suoi discorsi, nei suoi insegnamenti a scuola; lo abbiamo respirato per anni finché, alcuni di noi, hanno preso consapevolezza capendo che non solo si era vittime ma anche oppressori e in quel momento, scavando nella storia personale e collettiva, si è riusciti a conoscere le discriminazioni subite e perpetuate. Lentamente si è iniziato a smantellare pezzo per pezzo la struttura razzista intorno a noi. Questo lavoro che molte persone razzializzate hanno fatto su loro stesse ha poi creato una connessione con le persone vicine che hanno iniziato a decostruire e buttare giù quei mattoni che costituivano un muro di preconcetti e cliché.
Individueremo insieme la via giusta per creare una scuola antirazzista e per diventare dei buoni alleati, identificheremo i passi necessari e le modalità per arrivare a questa alleanza, trasmettendo un diverso punto di vista, quello di una persona che è vissuta ai margini della società, che ha faticato a farsi strada nel mondo e non ha perso la sua umiltà nemmeno ora che è, in qualche modo, una privilegiata come insegnante di scuola ed è ancora pronta a dare e ad imparare molto dagli altri.
Concludo con le parole di bell hooks: “L’onestà e l’integrità, così fondamentali per l’apprendimento, non trova(no)vano spazio nella maggior parte delle aule… Fino a quando i professori non saranno disposti ad ammettere che insegnare senza pregiudizi richiede che la maggior parte di noi sia disposta a imparare nuovamente, a tornare studenti, non ci sarà spazio per il cambiamento” (idem).