È un momento difficile per il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Dopo anni di consenso bulgaro e di media inginocchiati, i nodi (che questo giornale, quasi solo, segnala da anni) sono venuti al pettine. Il tanto celebrato sviluppo immobiliare rivela il suo lato oscuro: si arricchiscono fondi e banche, si indebitano i cittadini con mutui pesantissimi e affitti super cari, i poveri aumentano e anche il ceto medio viene espulso dalla città, gli studenti non trovano case a prezzi decenti, cresce il consumo di suolo, s’incrementa la cementificazione, peggiorano la qualità dell’aria e gli effetti dei fenomeni atmosferici. La foodification crea la movida selvaggia contro cui i cittadini si stanno ribellando in tutta la città. Le privatizzazioni tolgono ai cittadini servizi, il suolo verde, le piscine pubbliche, perfino i marciapiedi e le strade occupate dai dehor dei locali della notte. La circolazione in città peggiora, con code, incidenti, ciclisti e pedoni morti e feriti. La sensazione di insicurezza aumenta per gli scippi, i furti e le aggressioni, e Batman-Gabrielli non si sa che cosa stia facendo, nella Bat-caverna nascosta in qualche sotterraneo di Palazzo Marino.
Il Modello Milano è discusso, criticato, attaccato. Il Sala coccolato da (quasi) tutta l’informazione non c’è più. Si è spezzato il rapporto sentimentale tra il sindaco e la sua città.
E lui, come reagisce alla crisi? Facendo le bizze, minacciando di andarsene, dicendo che c’è “una campagna politico-mediatica” contro di lui, paventando una città in mano alla destra. Segno che non ha capito né la natura della crisi, né la posta in gioco, e neppure la necessità urgente di trovare soluzioni politiche di alto profilo. Il vento è girato e il tempo dello storytelling e della propaganda è finito. In un incontro con i cittadini alla Camera del lavoro, a chi gli diceva che il Modello Milano esclude i deboli, ha risposto: “Ma allora vi devo dire: io non sono capace, non sono capace, guardate, ve lo dico con chiarezza. Provate con qualcun altro”. “Se non sei capace, vattene”, gli aveva replicato una ragazza. “Va bene, è quello che farò, e poi vedremo”.
Al Corriere della Sera e all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Bicocca ha dichiarato: “C’è una parte della sinistra milanese che fa un po’ del brontolio la sua cifra. Ma finché c’è Beppe Sala che fa da parafulmine dell’universo mondo, si va avanti. In politica la cosa più importante è vincere le elezioni, se non si vince poi succede quello che stiamo vedendo tutti i giorni. Nel Paese c’è un’occupazione da parte del centrodestra in tutti i ruoli… Stiamo attenti perché tre anni sono lunghi, bisogna trovare una formula per essere veramente coesi altrimenti è estremamente pericoloso”. Insomma: se mi attaccate fate vincere la destra. Vecchia minaccia che forse funziona dentro la Ztl o neppure più lì, ma certamente non fuori, perché i cittadini hanno semplicemente smesso di andare a votare (nel 2021, all’ultima elezione “trionfale” di Sala, quasi il 50 per cento di astenuti!).
Sala non è il “parafulmine”, ma l’albero sotto il quale è meglio non ripararsi durante un temporale. Se la prossima volta, nel 2027, le destre smetteranno di non partecipare alla gara (come hanno sostanzialmente fatto nel 2021, poiché i poteri della città erano già ben rappresentati da Sala), Milano diventerà contendibile. Il centrosinistra allora avrà due possibilità: far finta di niente, cercando un candidato in continuità con Sala che continui a rubare alle destre la visione sviluppista e feroce della città; oppure prendere atto che l’ubriacatura del Modello Milano è finita, che è ora di smetterla di coccolare gli immobiliaristi, i fondi, le banche, i cementificatori e di ricominciare a parlare ai cittadini, del centro e delle periferie, proponendo un riformismo vero, quello che costruiva case popolari e cercava di migliorare i servizi, non tagliarli; di attenuare le disuguaglianze, non accrescerle in nome della “attrattività”.