Evviva Dario Fo, Robert De Niro ed Elio (e le Storie tese). Che cosa li accomuna? Sono gli unici, dal 1946 a oggi, ad aver rifiutato l’Ambrogino d’oro, l’onorificenza che Milano assegna ogni anno nel giorno di Sant’Ambrogio, patrono della città. Anche stavolta si arriva al 7 dicembre con una dose massiccia di polemiche: per aver inserito tra i premiati il comico “di destra” Andrea Baccan (in arte Pucci) e per le dichiarazioni del sindaco Giuseppe Sala, che ha accusato il Consiglio comunale di aver fatto per gli Ambrogini “scelte clientelari”. Questa volta ha ragione: le 21 medaglie d’oro e i 20 attestati di civica benemerenza sono assegnati dai partiti con il bilancino della lottizzazione: Fratelli d’Italia premia Pucci, il Pd risponde con l’astrofisica Amalia Ercoli-Finzi.
Le candidature iniziali erano esilaranti: Forza Italia aveva proposto Toto Cutugno, la Lega Tony Renis, Alessandro Sallusti e Pietro Senaldi (tutti purtroppo rimasti fuori dall’elenco finale). Ogni anno è la stessa storia: nel 2019, due Ambrogini alla memoria erano stati assegnati, con par condicio giudiziaria, a Francesco Saverio Borrelli e a Filippo Penati, al magistrato di Mani pulite e al politico a lungo indagato (e alfine prescritto). La lottizzazione dei premi per i vivi si è intanto allargata alla lottizzazione dei morti: anche al Famedio milanese degli uomini illustri si viene iscritti per trattativa politica e scambio di figurine: tu mi dai un Silvio Berlusconi e io ti concedo due donne partigiane (Gisella Floreanini e Francesca Laura Wronowski). Dario Fo si era sottratto al gioco degli Ambrogini nel 1997, quando sindaco era Gabriele Albertini. Aveva rifiutato la medaglia dichiarando che la giunta di Milano era “incivile”: “Mentre mi arrivavano auguri da tutto il mondo per il Nobel, le autorità cittadine di Milano mi aggredivano e insultavano”. De Niro fece invece il gran rifiuto nel 2004, arrivando al teatro Manzoni, dove quell’anno si distribuivano le medaglie, con 40 minuti di ritardo, quando il sindaco Albertini se n’era già andato.
Elio e le Storie tese, nel 2008 (sindaco Letizia Moratti), mandarono una lettera seria seria a Palazzo Marino: “Desideriamo ringraziare chi ha proposto il nostro nome. Vi comunichiamo altresì che non intendiamo accettare la Benemerenza, poiché siamo in disaccordo con la vostra decisione di non assegnare l’Ambrogino d’oro a Enzo Biagi e la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano”. Altresì. Poi lo accettarono dieci anni dopo, nel 2018, sindaco Giuseppe Sala, con il pubblico del teatro Dal Verme che urlava: “Cara ti amo!”.
C’è un modo semplice per porre fine alla lottizzazione delle benemerenze, che oltretutto con il passar degli anni peggiora perché si abbassa sempre più il livello culturale e civico dei premiati: abolire l’Ambrogino d’oro. Finiamola qua con una onorificenza che è ormai più inflazionata e svalutata del peso argentino. Basta con gli scambi di figurine, io ti do un comico se tu mi dai un’astrofisica. Basta. In subordine, se proprio non vogliamo rinunciare a una tradizione milanese un tempo prestigiosa, propongo a Sala di rifondare l’Ambrogino tornando al sindaco Aniasi. La decadenza cominciò quando Albertini rinunciò a decidere lui l’assegnazione delle benemerenze, che erano poche o pochissime all’anno. Per accontentare l’allora presidente del Consiglio comunale, il democristiano Massimo De Carolis, concesse al Consiglio – che con l’elezione diretta del sindaco aveva perso ogni potere – il contentino di decidere (e moltiplicare) gli Ambrogini.
Caro sindaco, fai una riforma a costo zero, dimostra che non hai paura dei partiti che si tengono stretto questo piccolo privilegio lottizzatorio e clientelare: riduci gli Ambrogini d’oro a cinque (dagli oltre 40 di oggi) e riprendi il potere di decidere tu a chi assegnarli: per il valore civico e culturale e non per accarezzare un elettorato sempre più svogliato e assente.