Le grandi partecipate e Confindustria possono stare tranquille: nonostante la Commissione Ue abbia rimaneggiato le proposte italiane di modifica al Pnrr i soldi per loro sono ancora tutti lì, pure un po’ aumentati, mentre risultano spariti quelli dedicati all’efficientamento energetico delle case private (4 miliardi nella proposta iniziale) e degli edifici pubblici, anche residenziali (3,6 miliardi). È il vero risultato – in attesa del testo definitivo concordato tra Roma e Bruxelles – del “nuovo” Pnrr, comprensivo del RePowerEu, programma di investimenti energetici lanciato dopo l’invasione russa dell’Ucraina e su cui vengono dirottati 8 miliardi abbondanti sottratti a progetti in essere e i circa 3 miliardi di risorse già vincolate.
Il RePowerEu finale è assai più modesto di quello proposto inizialmente da Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (da 19 a 11 miliardi) e del dimagrimento hanno fatto le spese famiglie e case popolari: i 4 miliardi di sgravi dell’ecobonus e i 3,6 destinati all’edilizia pubblica sono spariti, sostituiti da “un fondo da 1,3 miliardi per l’efficientamento energetico degli immobili di edilizia residenziale e popolare e degli appartamenti privati in condomini”, che verrà creato in “uno strumento finanziario” non meglio identificato.
Gli sgravi fiscali per le imprese di Transizione 5.0 invece passano da 5,5 a 6,3 miliardi di euro: servono per l’acquisto di beni digitali materiali e immateriali, per l’autoproduzione e l’autoconsumo di energia prodotta da rinnovabili e per la formazione del personale in competenze “green”. Era una richiesta di Confindustria – questi soldi si aggiungono ai 13,5 miliardi di sgravi di Transizione 4.0 già previsti dal Pnrr – divenuta pressante specie dopo l’abolizione in manovra dell’agevolazione Ace (Aiuto alla crescita economica), solo parzialmente compensata dagli incentivi per le assunzioni.
Confermati pure i soldi per le grandi partecipate. L’unica a perderci un po’ è Enel, che vede il contributo per le smart grid, le reti elettriche intelligenti, e quello per renderle resistenti agli eventi climatici estremi passare da 992 a 513 milioni complessivi (intatto, invece, lo stanziamento da 140 milioni per la digitalizzazione delle reti). Terna si tiene i fondi per l’elettrodotto Tyrrhenian Link fra Sardegna, Sicilia e Campania (mezzo miliardo), quelli per il Sacoi3 che unirà Sardegna, Corsica e Italia (200 milioni) e quelli per i “progetti di interconnessione elettrica transfrontaliera tra Italia, Slovenia e Austria” (60 milioni). Snam, a sua volta, può festeggiare i 420 milioni per il gasdotto “Linea Adriatica 1” da Sulmona fino a Minerbio (Bologna) da realizzare sventrando la dorsale appenninica con l’obiettivo di gestire meglio l’aumento dei flussi di gas dal Sud (Algeria, Azerbaijan) verso il Nord Italia e di lì, potenzialmente, verso l’Europa.
Non resta a bocca asciutta neanche Eni: a parte i finanziamenti al biometano, cresce da 2 miliardi a due e mezzo il capitolo “filiere” del RePowerEu, dedicato al “supporto al sistema produttivo per la transizione ecologica” e alle “tecnologie Net Zero”: tra quelle sovvenzionabili compare anche “la cattura e lo stoccaggio del carbonio”, proprio il famigerato impianto Css che il Cane a sei zampe prova a realizzare in joint venture con Snam nei giacimenti esausti al largo di Ravenna (e che sarà benedetto da norme ad hoc nel prossimo decreto Energia).
In generale, il nuovo Pnrr festeggiato dal governo è assai simile a quello di prima: passa da 191 a 194 miliardi totali perché ingloba i 2,9 miliardi già previsti per il RePowerEu, ma al costo di promettere più “riforme” a Bruxelles, tra cui alcune che saranno difficilmente digeribili dalla maggioranza (un taglio da 2 miliardi ai sussidi ambientalmente dannosi nel 2026 e norme pro-concorrenza). Di più: il cronoprogramma della spesa viene spostato (di nuovo) dal 2024 verso il 2026. Si vedrà. Il presidente dell’Antitrust Roberto Rustichelli ha detto venerdì che tanto “non siamo in grado di completare quanto annunciato per il Pnrr: mi assumo la responsabilità di quanto dico”. Se pure lo facessimo, avremo comunque meno asili nido rispetto a quelli promessi: la nuova versione del Piano prevede 150mila posti invece di 264mila.