Guardando le enormi tensioni internazionali, prima l’Ucraina ora la Palestina e sullo sfondo le tensioni tra Cina e Stati Uniti, ci si chiede quale sia il filo rosso che unisce le varie crisi che a prima vista non sembrano direttamente collegate.
La Russia ha invaso l’Ucraina, una guerra prevedibile e facilmente evitabile se vi fosse stata una seria volontà di tenere conto delle esigenze di sicurezza di tutti i Paesi coinvolti: ma l’Occidente era troppo sicuro che la sua forza economica avrebbe facilmente piegato un Paese visto come un “distributore di gas con bombe atomiche”. I conti si sono rivelati sbagliati e neppure la distruzione del Nord Stream ha danneggiato in maniera sostanziale la Russia.
La catastrofe a Gaza rappresenta l’esplosione vulcanica di una tensione che si è alimentata da mezzo secolo almeno e a differenza della crisi ucraina non si capisce quale sia lo scopo ultimo né di Israele, che sembra aver dimenticato che il fine non giustifica i mezzi, e che martoriare una popolazione non potrà che generare ulteriore odio e terrore, ma neppure dei terroristi di Hamas che hanno ottenuto di rimettere il problema palestinese al centro dell’attenzione internazionale a un prezzo insostenibile. Ma qual è il filo rosso che unisce le diverse crisi?
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Secondo i nuovi dati appena pubblicati dalla Nasa, la temperatura media nel mese di ottobre 2023 ha segnato il nuovo record da quando si registrano le misure dopo quelli di luglio, agosto e settembre. Guardando i diversi indicatori, primo tra i quali la temperatura degli oceani, i climatologi concludono che siamo entrati in un territorio inesplorato. Il 17 novembre è stato il primo giorno in cui la temperatura media globale ha superato i 2°C rispetto ai livelli preindustriali; il 18 novembre è stato il secondo. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite avverte che è probabile raggiungere nell’immediato futuro un riscaldamento globale di 2,5-2,9°C. Malgrado il fatto che nell’ultimo mezzo secolo gli scienziati abbiano costantemente avvertito che la traiettoria intrapresa stava rapidamente portando a condizioni climatiche estreme, nulla di sostanziale è stato davvero fatto per prevenire la catastrofe che incombe su di noi. Se le tendenze rivelano nuovi record climatici nello stesso tempo, sono stati fatti progressi minimi nella lotta al cambiamento climatico.
Secondo il quinto rapporto National Climate Assessment, pubblicato il 14 novembre scorso dall’amministrazione degli Stati Uniti, ogni tre settimane si verificano gravi disastri climatici, nessun luogo è al sicuro dal riscaldamento e alcune comunità sono colpite più duramente di altre. Il riscaldamento globale causa ogni anno 150 miliardi di dollari di danni diretti in tutto il Paese, a causa dell’innalzamento dei mari, delle ondate di calore, della siccità o delle inondazioni, e i costi sono in aumento. Nel periodo 2018-2022, gli Stati Uniti hanno subito 89 disastri climatici: ognuno ha causato danni per almeno 1 miliardo di dollari. Il rapporto sottolinea che finché non si smetterà di pompare gas serra nell’atmosfera, gli effetti del cambiamento climatico continueranno ad aumentare: ogni frazione di grado di riscaldamento è importante.
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In quest’ottica, il cambiamento climatico non è solo un altro problema, ma il filo rosso indotto dalle dinamiche del potere globale che lega le diverse crisi. Se una intesa può essere trovata in Ucraina, è più difficile ipotizzare una via d’uscita alla crisi palestinese in un tempo ragionevole. Tuttavia, la soluzione della crisi climatica sembra davvero al di là della nostra immaginazione perché non può che passare per un cambiamento del nostro stile di vita.
Ma nostro di chi? Stiamo vivendo un periodo di enormi cambiamenti in cui Paesi fino a vent’anni fa considerati ai limiti del sottosviluppo stanno rapidamente cambiando i rapporti di forza economici. Il passaggio dal mondo unipolare a quello multipolare sta avvenendo sotto i nostri occhi: i Paesi emergenti si chiedono perché debbano essere loro a limitare i consumi, visto che le loro emissioni sono ancora molto al di sotto dei livelli dell’Occidente.
L’Occidente si è arricchito a loro spese e ora non vuole cedere la sua posizione dominante. Al cuore dei conflitti ci sono dunque problemi geopolitici e squilibri di potere secolari che potranno essere risolti solo quando si prenderà atto che non c’è altra strada che trovare una reale negoziazione con gli altri Paesi, anche se non sono le “democrazie liberali” che piacciono tanto alla gente che piace ai nostri media.