“Il collasso climatico è iniziato”. Queste le parole utilizzate a settembre, come monito, dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Parole che in questi giorni, alla vigilia dell’inizio della COP28 sul clima in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, rimbombano più che mai, consapevoli che ci troviamo di fronte ad una crisi climatica che sta accelerando sempre di più il passo e che rischia pericolosamente di arrivare ad un punto di non ritorno.
La stessa Italia è sempre più impreparata di fronte a quanto sta accadendo e in ritardo nella messa a punto di politiche ambiziose e di un nuovo modello di gestione del territorio. Negli ultimi 14 anni, dal 2010 al 31 ottobre 2023, sono stati registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. Numeri preoccupanti se si pensa che il nostro Paese è un gigante dai piedi d’argilla e ad elevato rischio idrogeologico con 1,3 milioni di persone che vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Ma anche numeri che ci ricordano quanto la crisi climatica sia in una fase avanzata e a cui l’Italia deve rispondere con interventi concreti, politiche climatiche coraggiose e azioni non più rinviabili, e su cui in questa Cop28 sul clima auspichiamo possa dare davvero l’esempio.
La parola chiave che dovrà caratterizzare questa Cop28, nel segno della svolta, dovrà essere infatti “concretezza”. Non c’è più tempo da perdere, servono impegni concreti da parte delle maggiori economie del pianeta, a partire dall’Europa con il pieno sostegno dell’Italia, in grado di costruire un largo consenso su pacchetto di decisioni che si traduca in un Accordo di Dubai ambizioso e giusto, che segni per davvero un punto di svolta in grado di fronteggiare con efficacia l’emergenza climatica. Serve, inoltre, avviare subito il phasing-out dei combustibili fossili e dei sussidi al loro utilizzo. A Dubai non può e non deve ripetersi quanto accaduto lo scorso anno a Sharm El-Sheikh con l’indisponibilità della Presidenza egiziana ad includere nell’accordo finale alcun riferimento sul phasing-out dei combustibili fossili, sostenuta soprattutto da Arabia Saudita ed Iran con il supporto di oltre 600 lobbisti dell’industria fossile.
Le drammatiche emergenze registrate negli ultimi anni nel nostro Paese – dalle Marche, a Ischia, in Romagna e da ultima l’alluvione in Toscana – ci devono far riflettere anche sul modello di gestione del territorio. Dal punto di vista economico, secondo i dati della Protezione Civile il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche. Eppure, nonostante tutto ciò, il governo Meloni nel rimodulare il PNRR ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno (fonte Rendis- Ispra).
Non è però solo un problema di risorse economiche, come spesso si vuole far credere, o di mancanze nella manutenzione ordinaria, pratica corretta e condivisibile ovviamente, se inserita in un contesto più ampio. Il problema principale sta nel voler rispondere alla logica della “messa in sicurezza”, che ha visto nel corso dei decenni provare a difendere l’indifendibile, alzando solamente argini e ragionando in maniera idraulica, con calcoli e tempi di ritorno delle piene che la crisi climatica sta spazzando via più velocemente di quanto si pensasse. Un’emergenza, quella climatica, che in alcune aree del Paese, soprattutto nel meridione, aggrava una situazione di preesistente rischio causato da un abusivismo edilizio in aree già pericolose, raramente oggetto di demolizioni e rimasto colpevolmente impunito.
Di fronte a questo quadro dall’Italia ci aspettiamo in primis che definisca una nuova governance che abbia una visione più ampia di conoscenza, pianificazione e controllo del territorio; che approvi il PNAC e una legge contro il consumo di suolo; che superi la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione; che definisca una regia unica da parte delle Autorità di bacino distrettuale che preveda anche una maggiore collaborazione tra enti”. Temi che rilanceremo in vista della COP28 di Dubai, della manifestazione per il clima che stiamo organizzando per giovedì 30 novembre all’Eur e che affronteremo anche nella nostra tre giorni congressuale “L’Italia in cantiere” a Roma dall’1 al 3 dicembre all’Auditorium del Massimo e incentrata su due grandi temi: la crisi climatica e la transizione ecologica, ricordando che i due pilastri cardine della buona gestione del territorio sono: la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento.