Una politica mal raccontata, o peggio non comunicata, rischia di non essere vincente, nonostante magari sia fatta di tante buone azioni. Ma anche una comunicazione senza politica, fine a se stessa, rende corto, cortissimo, il fiato di qualsiasi partito o di qualsiasi leader.
Il Partito democratico non ha una tradizione di grandi comunicatori. Forse il primo Veltroni, quello degli anni 90, quando ancora non c’era il Pd, riuscì a essere efficace, per poi perdersi in un buonismo con forti dosi di politichese. Di Bersani si ricorda il linguaggio suggestivo e pieno di metafore, non sempre comprensibili (ora va meglio). Renzi fece della comunicazione la ragione sociale del Pd, ma dimostrò che essa non solo non basta, ma se è troppa nuoce. Prodi, Gentiloni e Letta si proposero con profili esasperatamente bassi: il primo durante il secondo governo rifiutò la tv, tranne che in pochissime eccezioni, perché nelle trasmissioni in cui lo invitavano c’era… il dibattito! (così spiegava il portavoce Sircana).
E adesso che alla guida del Pd è arrivata la Schlein? Nemmeno lei, almeno per ora, riesce a brillare rispetto ai predecessori. Forse la sua comunicazione ha bisogno di rodaggio e magari potrà funzionare nel medio periodo, ma al momento presenta, accanto ad alcuni aspetti positivi, alcuni limiti. Comincerei col dire che il suo modo di presentarsi e di parlare ha tratti interessanti, che potrebbero alla lunga fare gioco sui difetti: mi riferisco a una certa genuinità di aspetto rispetto ai suoi interlocutori, a una faccia pulita che ti dà l’impressione di poterti fidare (il cittadino da lei comprerebbe la famosa macchina usata), a una, a volte disarmante, emotività, quella di chi crede alle cose che dice.
Allora cosa c’è che non va? Direi che il difetto maggiore è – lo ha notato Paolo Natale –, quello che la spinge spesso a parlare come se dovesse fare un comizio ogni volta che la interpellano, anche per rispondere a una domanda occasionale, per parlare a un microfono porto al volo per cogliere una sua dichiarazione: situazioni dove funziona bene la battuta salace, lo slogan a effetto, la frase corta e secca: poi parla a “mitraglia”, parte sempre da lontano, sfiora a volte il logorroico. L’altro limite è che la sua comunicazione è fin troppo rotonda, senza increspature o spigolosità, cose utili a “bucare” i media; e povera di metafore, fondamentali nella comunicazione: quelle di cui Bersani faceva, viceversa, largo e bizzarro uso.
Infine, e questo l’accomuna agli altri politici, in lei si coglie la tendenza a eludere alcune questioni, a girarci al largo, anche se questo si comprende in una leader che deve guidare un partito che non l’ha completamente metabolizzata (è vero che su alcuni temi come il Lavoro, la Sanità o l’Ambiente ha usato parole inequivoche rispetto a chi l’ha preceduta).
Dunque, con la nuova segretaria, il Pd sta trovando contenuti capaci di dare a esso una nuova identità, ma non ancora la forma per comunicarli al meglio. Non ci sono solo gli elettori razionali e illuminati che comprendono le questioni, ai quali di certo il racconto di Schlein arriva; ci sono anche quelli, maggioritari, che si fermano a un livello emotivo di lettura della realtà, sui quali ancora la comunicazione della leader del Pd non ha prodotto l’empatia necessaria.
La politica mediatizzata ha bisogno di formule brevi e di immediato impatto, di sintesi efficaci e di semplificazione, soprattutto quando bisogna ragionare di cose complicate e difficili. In fondo la comunicazione di Schlein ricorda un po’ quella di Nichi Vendola, del quale però alla segretaria manca ancora il carisma, così come la sua retorica forse involuta ma avvolgente. Doti che però il leader pugliese affinò solo nel corso degli anni.