Nancy Brilli che “oltre a essere brava è anche bella” (cit. Aldo Cazzullo), “il presidente del Copasir, il senatore Calenda e Dago” (enunciati in quest’ordine dallo stesso Cazzullo) in prima fila, Mario Draghi seduto sull’altare di Sant’Ignazio di Loyola con Padre Don Vincenzo D’Adamo che racconta di come gli allievi dei Gesuiti frequentassero quella Chiesa […]
Nancy Brilli che “oltre a essere brava è anche bella” (cit. Aldo Cazzullo), “il presidente del Copasir, il senatore Calenda e Dago” (enunciati in quest’ordine dallo stesso Cazzullo) in prima fila, Mario Draghi seduto sull’altare di Sant’Ignazio di Loyola con Padre Don Vincenzo D’Adamo che racconta di come gli allievi dei Gesuiti frequentassero quella Chiesa (e l’ex premier ha studiato al Massimo): la presentazione del libro del vicedirettore del Corriere della Sera, sull’antica Roma, Quando eravamo i padroni del mondo (Harper and Collins) assomiglia alla scena di un film di Sorrentino dedicato alla dissoluzione finale dell’Impero. Alla presenza di Urbano Cairo e di Simona Ercolani, Draghi fa un rientro in scena in uno stile quantomeno inaspettato. Una specie di gioco di prestigio che pare far dissolvere l’immagine nota del personaggio, per sostituirla con un’altra, tanto sfuggente quanto surreale. Un trompe l’oeil, un po’ come la cupola piatta della Chiesa. Il dialogo tra Cazzullo e Draghi – intervallato dalle letture della Brilli – tocca tutto e non tocca niente. Dalle donne dell’Antica Roma, particolarmente disinibite, secondo Cazzullo, alla fede romanista di Draghi. Con qualche picco imperdibile. Come quando l’autore arruola Cesare tra i giornalisti ante litteram (vedi la narrazione fulminante del “Vedi, vidi, vici”): si sta forse autoparagonando? All’ex premier che chiarisce come “la storia non è magistra di nulla che ci riguarda”: un velato rimorso autobiografico? Poi, quando Cazzullo, ricordando il viaggio a Kiev in treno di Draghi, Macron e Scholz (definito “una pagina gloriosa per il nostro Paese”) chiede all’ex Bce cosa dovrebbe fare l’Europa per il Medio Oriente, lui prima parla d’altro, poi domanda: “Scusi, che mi ha chiesto?”. Per rispondere alfine che l’Europa “deve fare molto di più, perché siamo deboli e non credibili”. D’altra parte, sullo stato dell’Ue è particolarmente impietoso, a partire dalla denuncia della “paralisi decisionale”. Resta una domanda: perché Draghi ha scelto proprio quest’appuntamento per farsi rivedere? Forse per incoronare Cazzullo direttore del Corriere? O per offrirsi a futuri incarichi, presentandosi in una maniera diversa da come ha fatto finora? Della serie, il New York Times e il Financial Times li ha avuti sempre dalla sua parte, stavolta vuole essere più pop. A costo di confondersi con il generone romano. Un giro strano, però per arrivare alla guida del Consiglio europeo, l’unica posizione per la quale oggi può (forse) competere.