Nella quinta città d’Italia l’assessore ai Lavori pubblici ha una condanna in secondo grado per tentata concussione, ma a nessuno sembra importare più di tanto. Succede a Palermo, dove il sindaco Roberto Lagalla non ha intenzione di far dimettere Salvatore Orlando, che il 22 novembre scorso si è visto confermare un anno e mezzo di pena dalla corte d’Appello. Sono passati dieci giorni e nessuno a Palazzo delle Aquile sembra intenzionato a sollevare il problema. Non Lagalla, che ha appena rimodulato le deleghe, confermando fiducia a Orlando, rimasto seduto sulla sua fondamentale poltrona. Ma neanche l’opposizione, che avrebbe potuto sfruttare l’occasione per andare all’assalto del centrodestra. E invece, se si escludono due comunicati diffusi dai 5 stelle e da Rifondazione comunista, nessuno finora ha alzato la voce per chiedere formalmente al sindaco di mettere alla porta l’assessore condannato. Neanche il Pd, che non ha preso alcuna posizione, nonostante sia la prima forza tra quelle all’opposizione.
Ma perché i dem sono rimasti praticamente in silenzio? “Come partito noi ci allineiamo a quella che è la decisione del gruppo consiliare. Aspettiamo una risposta”, dice Rosario Filoramo, segretario provinciale. E quale è la decisione del gruppo consiliare? “Noi stiamo facendo una valutazione collettiva con le altre opposizioni, ma non abbiamo ancora raggiunto una decisione perché la riunione è stata sospesa per l’inizio del consiglio comunale”, allarga le braccia Rosario Arcoleo, capogruppo a Sala delle Lapidi.
Il problema è che prima di essere fulminato sulla via di Matteo Renzi ed entrare in giunta col centrodestra, Orlando era un seguace del suo più noto omonimo, Leoluca. L’inchiesta che lo riguarda nasce quando a governare la città era proprio l’ex sindaco mentre l’attuale assessore di Lagalla era presidente del Consiglio comunale. In questa veste, secondo i giudici, aveva fatto pressioni sul capo dei Vigili urbani per far ottenere una promozione a un dirigente. Un tentativo non andato a buon fine che però aveva portato già nel 2021 alla condanna in primo grado: in quel caso la maggioranza di centrosinistra decise di confermare Orlando alla presidenza del Consiglio comunale. Ecco perché oggi tra i dem serpeggia l’imbarazzo. Senza considerare che tra gli eletti del Pd in Consiglio comunale c’è anche Giuseppe Lupo, ex segretario regionale che è attualmente sotto processo per corruzione in uno dei filoni nati dall’inchiesta su Silvana Saguto, l’ex “zarina” dei beni confiscati alla mafia, radiata dalla magistratura e recentemente finita agli arresti.
“Come fa il Pd a chiedere le dimissioni di Orlando se tra qualche tempo potrebbe avere un consigliere condannato addirittura per corruzione, seppur solo in primo grado?”, sussurrano i maligni, che di solito popolano in abbondanza le storie del potere siciliano. Alle ultime elezioni amministrative, tra l’altro, Lupo era stato incluso nella lista dei cosiddetti “impresentabili” della commissione Antimafia. “Da questo punto di vista io sono garantista fino all’ultimo grado di giudizio, per me il problema di Lupo non si pone”, assicura però il capogruppo Arcoleo. Finora, tra i consiglieri dem, si è distinto solo Fabio Giambrone, che ha chiesto il passo indietro di Orlando subito dopo la condanna in secondo grado. L’ex vicesindaco ha pure scritto a Elly Schlein per segnalarle la vicenda: la segretaria ha preso informazioni ma non ha ancora dato alcun input ai suoi. Nel frattempo nel Pd di Palermo è tutto un lanciare palle in tribuna: “Noi ci siamo rimessi a un rapporto di sodalizio con tutte le minoranze. È giusto approfondire il tema, anche con il partito regionale”, dice sempre Arcoleo.
E mentre il Pd approfondisce, discute e ragiona, l’assessore di Lagalla continua a occuparsi di lavori pubblici, nonostante una condanna in secondo grado per tentata concussione, senza che nessuno abbia troppo da ridire. “Sanno che sono una persona perbene”, commenta soddisfatto il diretto interessato, confermando di avere la fiducia del sindaco. “Le mie dimissioni non furono chieste da Orlando, quindi non capisco perché dovrebbe chiederle oggi Lagalla”. E se la sentenza dovesse essere confermata dalla Cassazione? “Io sono rispettoso delle leggi”, assicura l’assessore, consapevole del fatto che la sua condanna a 18 mesi non fa scattare né la sospensione e neanche l’incandidabilità previste dalla Severino. “Se non mi sarà vietato di partecipare alla vita pubblica, valuterò cosa fare un attimo dopo la sentenza definitiva”. Chissà se per allora il Pd avrà finito il suo approfondimento sul tema.