Il Fatto di domani. Vannacci, dall’attenti al riposo: inizia l’incarico con un mese di ferie. Parte l’indagine, che non placa le polemiche. Panda in Serbia, cosa c’è da sapere sull’affaire Stellantis

Di FQ Extra
4 Dicembre 2023

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POLEMICA SUL NUOVO INCARICO DEL GENERALE VANNACCI. PARTE L’INCHIESTA, PRIMA DI COMINCIARE LUI SI PRENDE UN MESE DI FERIE. Due lettere da aprire prima ancora di sedersi alla scrivania. La prima è per Roberto Vannacci, generale e commentatore televisivo idolo della destra per le sue posizioni conservatrici, omofobe e anti-femministe. Appena nominato capo di Stato Maggiore delle Forze operative terrestri, arrivato Roma al Comando il generale si è visto recapitare la notifica di avvio dell’inchiesta disciplinare formale nei suoi confronti, proprio per le opinioni espresse nel libro Il mondo al contrario. Al momento della pubblicazione del volume, Vannacci era in servizio all’Istituto Geografico Militare di Firenze. Da cui è stato sospeso per 3 mesi, dopo le polemiche. Una volta conclusa, l’inchiesta formale potrebbe portare a provvedimenti disciplinari per il generale. Fonti del ministero fanno sapere che i tempi d’indagine non saranno lunghi, visto che molto ha già fatto l’istruttoria informale portata avanti finora. La seconda lettera sulla scrivania di Vannacci, invece, è indirizzata allo Stato maggiore di Roma. Appena insediato nel nuovo ruolo, infatti, Vannacci ha chiesto subito un mese di licenza “per motivi familiari”. Decisione che lascia pensare che non sia molto contento della nuova collocazione, quella che all’esterno è stata percepita come una promozione ma che nei fatti è un passaggio di mansioni a parità di ruolo (lo hanno chiarito oggi diversi generali colleghi di Vannacci, da Marco Bertolini a Leonardo Tricarico). Il titolare della Difesa, Guido Crosetto, cerca da giorni di sgonfiare le polemiche e oggi si è affettato a precisare che la richiesta del generale è stata inviata già il 22 novembre. Approfondiremo la questione sul Fatto di domani.


SALVINI, IMPROBABILE FEDERATORE DEI SOVRANISTI. Tra i primi a complimentarsi con Vannacci per la nuova nomina è stato Matteo Salvini. Collega di governo di Crosetto, vicepremier e ministro, ma in quel caso parlava da politico: nella veste di federatore della “cosa nera” dei sovranisti europei di Identità e Democrazia. Il gruppo federa sigle come la tedesca Alternative fur Deutschland, il Partito della Libertà austriaco e l’omonimo dell’olandese Geert Wilders, il Ressemblement National di Marine Le Pen insieme ad altre formazioni di estrema destra (non lo spagnolo Vox, che sta nel gruppo dei Conservatori Europei con Fratelli d’Italia). Il summit “Free Europe”, convocato dalla Lega ieri a Firenze, in realtà, è stato un raduno di scarsa incisività, dove sono emerse anche le divergenze di politica estera tra i vari membri di ID (alcuni sono filo-russi). Gli unici argomenti federatori sono stati i discorsi anti-migranti, climato-scettici e per i valori della famiglia tradizionale. Ma l’evento per Salvini era soprattutto di carattere interno ed elettorale. Il leghista ha inaugurato così la sua campagna per le Europee di giugno 2024. E il fatto che sia sceso in campo per riportare parte degli elettori di destra verso la Lega (dopo la batosta delle politiche dell’anno scorso con l’enorme travaso verso Giorgia Meloni), è dimostrato anche dalla nuova polemica lanciata oggi sui social: la condanna a 17 anni di prigione inflitta a un gioielliere che in provincia di Cuneo nel 2021 ha sparato e ucciso due rapinatori mentre fuggivano. La procura aveva chiesto 14 anni, parlando di “esecuzione”. Il leader leghista ha espresso solidarietà con il condannato sostenendo che non merita il carcere. Oggi Salvini ha continuato la sua campagna contro l’Europa malvagia e l’inciucio delle sinistre da Bruxelles, dove partecipava a una riunione dei ministri dei Trasporti. Da lì ha attaccato i sindacati per gli scioperi, come vedremo sul Fatto di domani.


STELLANTIS, RABBIA DEI SINDACATI PER LA PANDA IN SERBIA E PER IL MUTISMO DI MELONI. “Le dichiarazioni di ieri dal presidente Aleksandar Vucic, che ha annunciato la produzione della Panda elettrica in Serbia, sono l’ulteriore conferma che il futuro degli stabilimenti italiani, dei livelli occupazionali e delle produzioni si decide fuori dall’Italia. Dopo anni in cui lavoratrici e lavoratori dello stabilimento di Pomigliano d’Arco hanno dovuto subire il ricorso agli ammortizzatori sociali, perché la produzione della sola Panda non bastava, oggi sentono nuovamente in pericolo” , ha tuonato il segretario generale Fiom-Cgil Napoli, Mauro Cristiani e il responsabile del settore Automotive della Fiom-Cgil Napoli, Mario di Costanzo, che proseguono: “Con l’introduzione del motore elettrico il governo deve decidere se il settore è strategico oppure no e quali e quante risorse finanziarie impegnerà per il comparto produttivo, per favorire ricerca e sviluppo”. A due giorni dall’incontro al ministro delle Imprese e del Made in Italy con sindacati e Regione, le parole del presidente nazionalista pronunciate ieri fanno ancora rumore. E fa ancora più rumore il silenzio di Giorgia Meloni che era al suo fianco. Tanto che il Pd ha presentato un’interrogazione ad Adolfo Urso e l’M5S ha fatto sentire la sua voce. Il tutto mentre il governatore lombardo Fontana è in missione nel Paese dell’ex Jugoslavia proprio per promuovere gli scambi economici (in crescita dell’8%). Sul Fatto di domani Ettore Boffano farà il punto sull’ex gioiello italiano, oggi sotto il controllo dei francesi di Peugeot, ma anche su cosa si prevede per l’incontro di mercoledì, in cui probabilmente il gruppo chiederà allo Stato nuovi sussidi. E capiremo anche a fronte di quali concessioni. Il tutto mentre il ministro Urso annuncia che il “Il trimestre anti inflazione finisce qui” perché a suo avviso il risultato sarebbe stato centrato. Parole smentite dai dati, visto che anche a novembre i generi alimentari sono rincarati ancora dello 0,7%.


GUERRA ISRAELE-HAMAS, NETANYAHU GUARDA AL FRONTE MA PENSA AI SUOI PROCESSI. I PARENTI DEGLI OSTAGGI: “RIPRENDERE I NEGOZIATI”. Dal 7 ottobre, giorno del massacro firmato da Hamas con 1.200 morti e 237 ostaggi – molti dei quali ancora nelle mani dei fondamentalisti – lo Stato ebraico aveva sospeso le attività giudiziarie in nome dell’emergenza. Ma oggi le udienze riprendono e il premier Bibi Netanyahu torna ad essere imputato per i reati contestati dalla Procura: frode, corruzione e “abuso di fiducia”, fatti che sarebbero avvenuti tra il 2007 e il 2016. Una buona parte della società israeliana, inoltre, lo ritiene già colpevole, attribuendogli la responsabilità di non aver saputo prevenire l’attacco di Hamas, nonostante tutte le segnalazioni ricevute. Per il premier, dunque, c’è un doppio fronte. Le famiglie degli ostaggi che sono ancora nelle mani degli estremisti islamici, pressano il governo per “ritornare subito ai negoziati”. Durante una conferenza stampa, i parenti di coloro che sono stati portati via dai kibbutz il 7 ottobre hanno fatto sapere che, se il premier non tornerà a trattare, aumenteranno le proteste in piazza, ad iniziare da domani mattina, con un raduno dinanzi al ministero della Difesa, a Tel Aviv. Intanto il conflitto a Gaza prosegue: Hamas tira razzi verso Israele, mentre le operazioni dell’Idf si sono spostate a sud. Per l’Onu, dalla ripresa delle ostilità, dopo la pausa per lo scambio ostaggi-detenuti, i morti sono 300. Fonti palestinesi ne indicano il doppio. “La sofferenza è intollerabile”, dichiara Mirjana Spoljaric, presidente della Croce Rossa appena arrivata nella Striscia. La richiesta di Spoljaric è duplice: all’Idf chiede di proteggere i civili, ad Hamas di “rilasciare subito gli ostaggi in modo che la Croce Rossa possa visitarli in sicurezza”. Resta a bassa intensità, ma quotidiano, il conflitto a nord di Israele, con Hezbollah. La milizia filo iraniana ha rivendicato tre attacchi, l’esercito ha risposto con raid di jet e droni. Sul Fatto di domani leggerete altri particolari sulla giornata e sulla condizione del premier Netanyahu, diviso tra la guerra e i processi a suo carico.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Strage di Viareggio, al via il processo in Cassazione. Sono 18 i ricorsi presentati al vaglio della Suprema corte nel processo per la strage ferroviaria del 29 giugno 2009, che provocò 32 morti e un centinaio di feriti. Tre le udienze fissate: oltre a quella che si è aperta oggi, le altre due sono previste per il 18 dicembre e il 15 gennaio. La Procura generale ha chiesto la conferma di tutte le condanne. In piazza Cavour, davanti al Palazzaccio, si sono ritrovati i familiari delle vittime che chiedono “verità e giustizia”.

In Ucraina cambia il vento. Anche Kiev riconosce che la controffensiva è finita, se non fallita, e ammette di lavorare per cambiare tattica e concentrarsi sulla difesa. Lo ha dichiarato il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak. Nel frattempo sembra saldarsi un fronte ostile a Volodymyr Zelensky, da destra, che vorrebbe andare ad elezioni nel 2024 nonostante il conflitto. Dagli Usa, dove pure si voterà a fine anno prossimo, arriva un avvertimento significativo: se il Congresso non approverà nuovi aiuti all’Ucraina “entro la fine dell’anno finiremo le risorse per le armi e le apparecchiature all’Ucraina”, ha scritto Shalanda Young, la direttrice del budget della Casa Bianca.

Omicidio Regeni, 007 egiziani a processo, la Presidenza del Consiglio sarà parte civile. Il gup di Roma ha rinviato a giudizio i quattro agenti del Cairo accusati del sequestro e dell’omicidio di Giulio Regeni. Il processo comincerà il prossimo 20 febbraio. La Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata ammessa come parte civile. “Oggi è una bella giornata”, ha commentato la mamma del ricercatore. “L’assenza degli imputati non ridurrà il processo ad un simulacro” ha dichiarato in aula il procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco.


OGGI LA NEWSLETTER IL FATTO ECONOMICO

Come muore un’acciaieria: gli allegri carnefici dell’Ilva

di Carlo Di Foggia e Marco Palombi

L’Ilva è moribonda, forse già morta e la pensiamo viva solo per abitudine: dopodomani un altro capitolo del suo lungo funerale si terrà in un cda che vede contrapposti i padroni di Mittal e il socio pubblico Invitalia. Se va bene, daranno un calcio al barattolo: se ne parlerà, ma qui vogliamo ricostruire come siamo arrivati fin qui.

Gli inizi.
La storia dell’Ilva inizia più di cent’anni fa, quella dell’Ilva a Taranto il 9 luglio del 1960, quando viene posata la prima pietra dell’Italsider (Iri), quella che diventerà la più grande acciaieria d’Europa: quattro anni, 400 miliardi di lire e migliaia di ulivi dopo entra in funzione il primo altoforno, nel 1965 il capo dello Stato Giuseppe Saragat inaugura il nuovo impianto. La fabbrica è troppo vicina alla città, in particolare al quartiere Tamburi, ma farla lì costa meno e la città ha fame di lavoro: “L’avremmo costruita pure in centro”, racconterà il sindaco Dc Angelo Monfredi. L’Ilva ha iniziato a inquinare Taranto nel momento in cui è nata: “Un’impresa industriale a partecipazione statale non ha ancora pensato alle elementari opere di difesa contro l’inquinamento e non ha nemmeno piantato un albero a difesa dei poveri abitanti dei quartieri popolari sotto vento”, scrisse Antonio Cederna sul Corriere della Sera nel 1971. Il magistrato Franco Sebastio aprì il primo fascicolo sui veleni dell’Italsider nel 1978. Quanto al resto, se l’Ilva ha portato lavoro e prodotto (ottimo) acciaio, Taranto ha creato poco o nulla attorno alla grande fabbrica.

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