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MIGRANTI IN ALBANIA, LA “BANDIERINA” DI MELONI POTREBBE COSTARE 200 MILIONI. PIANTEDOSI: “RISORSE IN VIA DI DEFINIZIONE”. La maggioranza avrebbe evitato volentieri l’approdo in Parlamento del patto sui migranti con l’Albania e ora si intuisce il perché. La gestione dei richiedenti asilo e degli stranieri in attesa di espulsione – nei due centri di Shengjin e Gjader – potrebbe costare circa 200 milioni di euro: è la stima due autorevoli fonti di governo rivelata oggi dal Fatto Quotidiano. Per i nuovi Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio), che saranno costruiti in Italia entro il 2024, invece basteranno 19 milioni. Il prezzo per la gestione dei migranti, appaltata in Albania, è lievitato di 10 volte. Dunque la bandierina elettorale di Meloni, in vista delle elezioni europee di giugno 2024, non sarà gratis per l’erario. Il vicepremier Antonio Tajani ha provato a sminuire con una stoccata alle opposizioni: “Costerà meno delle truffe sul superbonus”. Anche il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, nel question time alla Camera, ha provato a stemperare gli allarmi sulla spesa: “di certo inferiore a quanto emerso su alcuni organi di stampa. La puntualizzazione delle risorse è in corso nelle strutture ministeriali”. Meloni, ospite dell’emittente radiofonica Rtl, ha lanciato una stoccata alle opposizioni: “Criticano l’intesa perché sperano che noi non riusciamo a risolvere il problema”. Eppure i numeri non mentono: ciascun migrante detenuto nei 10 cpr italiani (in tutto possono ospitarne 1.100) costa 16 mila euro; al di là dell’Adriatico il costo sale a 22 mila euro. I bandi per la costruzione dei 10 Cpr italiani prevedevano una spesa di 56 milioni. La bozza del protocollo include un costo di 90 milioni, con la spesa totale coperta da “omissis”. Oltretutto, i centri in Albania non ospiteranno 3 mila migranti, come annunciato trionfalmente da Meloni, ma 720. Sul Fatto di domani vi racconteremo nuovi dettagli e retroscena sull’intesa tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama, sulla pelle dei migranti.
VENDETTA GIAMBRUNO, L’EX FIRST GENTLEMAN PRONTO A FARE CAUSA A MEDIASET. MELONI: “LA MIA VITA IN PIAZZA, SENZA PIETÀ”. La saga del first Gentleman Andrea Giambruno potrebbe arricchirsi di un nuovo capitolo, dopo le gaffe, i fuorionda sessisti di Striscia la notizia, la separazione da Giorgia Meloni e la retrocessione da conduttore ad autore. Il giornalista ed ex compagno della premier, secondo La Stampa, sta valutando una causa legale contro Mediaset. Fatali, per Giambruno, i filmati di Striscia nello studio di Diario del giorno, in onda su Rete4: commenti dal sapore patriarcale, palpatine alle parti basse (la sue), allusioni a orge con colleghe. Meloni aveva annunciato sui social la fine della relazione. Antonio Ricci aveva cancellato le nuove puntate della serie. Il giornalista era tornato in panchina, dietro le quinte con un ruolo da autore: stop alla conduzione. Ma ora Giambruno valuta di portare in tribunale l’azienda per cui lavora: “Faccio causa per lesione della privacy e diffamazione, l’avvocato dice che vinciamo sicuro”, avrebbe confidato ad un gruppo di amici, lunedì scorso attovagliati in un ristorante romano a due passi dal Pantheon. L’obiettivo sarebbe ottenere un risarcimento. L’ottimismo poggerebbe su una sentenza della Cassazione datata 2011: secondo il verdetto della Suprema corte, i colloqui privati tra colleghi, sul posto di lavoro, non sarebbero divulgabili. “Mi hanno fatto una figura di merda mondiale”, avrebbe ammesso Giambruno agli amici, secondo La Stampa. Sulla vicenda è tornata anche Giorgia Meloni: “A volte si è parlato delle mie questioni personali senza pietà, la mia vita ormai è tutta in piazza, però alla fine con l’elmetto in testa si combatte”. Sul Fatto di domani, torneremo sulla saga Giambruno per definire la linea di confine tra privacy e cronaca.
LA DESTRA HA SEPPELLITO IL SALARIO MINIMO, MA DÀ LA COLPA ALLE OPPOSIZIONI. L’esito era scritto, ma la gravità resta. Oggi il centrodestra ha definitivamente affossato la proposta di legge sul salario minimo a 9 euro l’ora, proposta dalle opposizioni (unite tranne Italia Viva). Nello specifico, con 153 voti favorevoli, 118 contrari, 3 astenuti la Camera ha approvato la delega al Governo in materia di retribuzione dei lavoratori e di contrattazione collettiva. È l’effetto dell’emendamento infilato dalla maggioranza dentro la proposta di legge delle opposizioni, che non solo snatura la proposta di legge sul salario minimo, ma calcia la palla un po’ più in là: dà all’esecutivo altri 6 mesi per elaborare una sua normativa. Che però non sarà mai un salario minimo, visto che si baserà sui rilievi del Cnel di Brunetta che ha già valutato non necessario fissare un tetto minimo di retribuzione oraria in Italia, mentre 22 Stati membri dell’Ue su 27 l’hanno già introdotto. Il centrodestra è contrario alla legge e per disinnescarla totalmente ha scelto non di bocciare la norma proposta dalle opposizioni, ma di metterla su un binario morto con un emendamento e allungare i tempi in modo da superare il voto delle europee a giugno 2024. Alle opposizioni non resta che la protesta, a suon di “buuu” e cartelli in Aula. Continueremo la battaglia, fanno sapere M5S e Pd, che parlano di “schiaffo a 3,5 milioni di lavoratori poveri”. Giorgia Meloni ha rigettato le accuse al mittente: “Oggi M5s e Pd dicono che il salario minimo è l’unica vera cosa che va fatta in Italia – ha detto la premier nell’intervista a Rtl– ma in 10 anni che sono stati al governo non gli è mai venuto in mente di farla”. E ne ha avuto anche per i sindacati: “Devo anche dire che mi incuriosisce la posizione di alcuni sindacati che vanno in piazza per rivendicare la bontà del salario minimo, ma quando vanno a firmare accettano contratti da poco più di 5 euro l’ora”. “Dei nuovi 441 nuovi contratti, solo 25 sono stati sottoscritti da organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative”, le ha risposto la segretaria del Pd Elly Schlein. Resta una questione, come vedremo sul Fatto di domani: se anche le parti sociali sono troppo deboli per assicurare stipendi migliori ai lavoratori, la premier non pensa si debba comunque fare qualcosa per alzare le paghe più basse d’Europa? Come ha ricordato ieri il commissario Ue Nicolas Schmit in Commissione alla Camera, l’Italia è l’unico Paese tra i 27 dove le retribuzioni in termini reali si sono abbassate (di quasi l’8%) per via della crisi di inflazione e dove sono più basse rispetto a 20 anni fa.
L’OFFENSIVA DI ISRAELE SU GAZA: “AVANTI FINO A GENNAIO”. L’ALTRA GUERRA: IL NODO SEMPRE PIÙ STRETTO DELLE ARMI A KIEV. L’APPELLO DEI NOBEL PER LA PACE. Domani saranno due mesi dall’attentato di Hamas in territorio israeliano, con 1200 civili uccisi e circa 240 rapiti, e dall’inizio della più grande offensiva militare di Israele su Gaza. L’Idf ha esteso le operazioni a sud, dove si concentra la maggior parte degli abitanti palestinesi della Striscia che avevano seguito l’ordine di evacuare dalle loro case all’inizio della guerra. A Khan Younis, la più grande città del sud di Gaza le forze di terra israeliane combattono casa per casa, mentre i bombardamenti continuano a radere al suolo interi quartieri. Secondo Al Arabiya, l’Idf avrebbe circondato la casa del leader di Hamas Yahya Sinwar. Lui ovviamente non c’era, anche se i generali dicono di sapere dove stanarlo: oggi sarebbero stati uccisi altri 5 capi di Hamas. Gli ufficiali israeliani riterrebbero che l’offensiva di terra su vasta scala dovrà andare avanti ancora per un mese, prima di poter aprire una nuova finestra per una tregua e il rilascio di altri ostaggi. Questo per mettere sufficientemente sotto pressione Hamas. Secondo Tel Aviv sono ancora 138 le persone prigioniere delle varie fazioni palestinesi. I media Usa riferiscono che Washington pensa che Israele andrà avanti così fino a gennaio, poi rallenterà. Intanto però Israele stringe la morsa dell’occupazione in Cisgiordania, dove il governo ha approvato l’espansione degli insediamenti illegali dei coloni con la costruzione di altre 1738 unità abitative. Tra le proteste internazionali (incluse dagli Usa). Sul Fatto di domani parleremo però anche dell’altra guerra, quella in Ucraina, facendo il punto sulla tenuta dell’alleanza occidentale che sostiene Zelensky. Ieri il presidente ucraino ha cancellato la sua partecipazione a una riunione sul pacchetto di aiuti a Kiev, dopo che i Repubblicani hanno minacciato Biden di votare contro il sostegno militare se non saranno approvati fondi per il contrasto all’immigrazione in Messico. Oggi però una delegazione del governo ucraino ha incontrato lo speaker della Camera repubblicano Mike Johnson e lo scontro dovrebbe rientrare. La Casa Bianca ha fatto sapere che potrebbe usare la via del decreto presidenziale, che bypassa il Congresso, per garantire a Kiev altri 175 milioni di dollari destinati alle armi. Parleremo anche dell’appello per la Pace sottoscritto da 30 premi Nobel e organizzazioni internazionali e consegnato a Papa Francesco oggi in Vaticano.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
“L’Italia è uscita dalla via della Seta”. L’annuncio è stato dato al tempo passato: il governo ha fatto sapere di aver comunicato già 3 giorni fa a Pechino l’intenzione di non rinnovare il memorandum sulla Belt and Road Initiative dopo la scadenza del 22 marzo 2024. I rapporti e gli scambi commerciali tra i due Paesi, ovviamente, restano in campo, ma la mossa porterà a ridiscuterli.
Il furbetto beccato: arrestato ad Abu Dhabi l’immobiliarista Danilo Coppola. Ai tempi d’oro, uno dei suoi soprannomi era “Er cash”. L’immobiliarista, condannato in via definitiva per una bancarotta del 2004, era latitante da un anno e mezzo. Nella capitale degli Emirati Arabi Uniti l’immobiliarista romano, da quanto si è saputo, era andato per una gita turistica ed è stato individuato e fermato sulla base del mandato d’arresto internazionale emesso dalla Procura milanese il 2 agosto 2022 per l’espiazione di una pena residua di oltre 6 anni di reclusione, dopo la condanna definitiva, risalente al 1 luglio 2022.
Il “bel canto” è patrimonio Unesco. Il Comitato per il Patrimonio immateriale dell’Unesco ha proclamato la pratica del canto lirico italiano elemento del patrimonio immateriale dell’umanità. La proclamazione è avvenuta per acclamazione in occasione della riunione dei Paesi membri del Comitato in Botswana. Domani la nostra analisi di come ci siamo arrivati.
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Soldi per scappare dall’uomo violento: così la Francia aiuta le vittime a ricominciare
di Luana De Micco
Un assegno per ricominciare da capo. Dal primo dicembre le donne vittime di violenze domestiche in Francia possono richiedere un aiuto finanziario statale per andare via di casa: da 244 euro a 1.337 euro in funzione del reddito e di eventuali figli a carico, per un importo medio di 600 euro. Una somma che deve servire ad affrontare le spese iniziali per lasciare il partner violento e riuscire a ricostruirsi una vita altrove. La misura, votata con legge del 28 febbraio 2023, è stata chiamata “aiuto finanziario d’emergenza”.
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