LEGGI – Paolo Borsellino, l’agenda sparita e le foto della borsa tenuta nella teca
Inviato a Palermo. Gioacchino Natoli ha preso servizio all’Ufficio Istruzione di Palermo nel 1983, tre giorni prima che Rocco Chinnici venisse ucciso da Cosa Nostra con un’autobomba imbottita di esplosivo. “Le assicuro che all’epoca non c’era la fila per andare a lavorare lì”, racconta oggi l’ex giudice, che ha attraversato tutte le vicende dello storico pool antimafia al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tra le altre cose si è occupato degli omicidi di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre, poi è stato pure pm del processo a Giulio Andreotti. Quarant’anni dopo è ancora circondato da pile di carte: vecchi atti ma pure documenti recenti. Nonostante sia in pensione dal 2018, infatti, Natoli è tornato a indagare: sta ricostruendo ogni passaggio di un’inchiesta che ha gestito nel 1992. “Mai avrei potuto immaginare di essere costretto a difendermi dall’accusa di aver protetto i Buscemi”, dice, riferendosi ai fratelli Nino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini.
Nel giugno di 31 anni fa, infatti, Natoli chiese e ottenne per loro l’archiviazione in un’inchiesta per riciclaggio, nata su input della Procura di Massa Carrara, che indagava sulle infiltrazioni di Cosa Nostra nelle cave di marmo. Una storia ripescata recentemente da Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale dei figli del giudice ucciso in via D’Amelio. L’avvocato ha collegato l’indagine sui Buscemi a quelle del Ros di Mario Mori su mafia e appalti, indicandole come il movente segreto della strage Borsellino. E sottolineando che Natoli, oltre all’archiviazione, chiese pure di smagnetizzare le intercettazioni e distruggere i brogliacci. “Una cosa anomala per un’indagine di mafia. Il dottore Natoli avrebbe dovuto giustificare quella distruzione a Borsellino, se Borsellino fosse sopravvissuto”, ha sostenuto sia in Commissione Antimafia sia durante la trasmissione Far West su Rai3. “Ma all’epoca la smagnetizzazione delle bobine era una prassi della Procura, richiesta dal ministero per motivi economici – dice Natoli, sfogliando decine di pagine – E in ogni caso quei nastri sono rimasti in archivio insieme ai brogliacci, guardi qui…”.
Dottore, andiamo con ordine: perché chiese di archiviare l’indagine di Massa Carrara?
Vorrei sottolineare che la nostra era una semplice indagine collegata, l’inchiesta principale è rimasta sempre a Massa. Poi sarà spostata per competenza a Lucca, non certo a Palermo.
Ma da Massa vi arrivarono le intercettazioni dei Buscemi?
Io sono abituato a far parlare le carte, ecco qua: il pm Augusto Lama non ci invia intercettazioni, ma visure e annotazioni d’indagine della Finanza. E chiede a noi di intercettare i Buscemi. Io incarico sempre lo stesso corpo, il Gico. E informo per iscritto il collega toscano.
Poi, però, chiede l’archiviazione: perché?
Perché il 26 marzo 1992 la Finanza dà conto del contenuto delle intercettazioni scrivendo che “non hanno consentito di individuare episodi, circostanze o elementi che possano ricollegarsi ai fatti criminosi ipotizzati”. La stessa motivazione che io cito nella mia richiesta.
Però si trattava dei Buscemi: Cosa Nostra era diventata socia di uno dei principali gruppi industriali del Paese.
Infatti Salvatore Buscemi era già stato condannato al Maxiprocesso, mentre per Antonino era in corso a Palermo, da parte di altri colleghi, il procedimento di prevenzione per sequestrarne il patrimonio. Non dobbiamo commettere l’errore di schiacciare le conoscenze.
Che intende?
Le conoscenze vanno storicizzate. Tutto quello che era conosciuto da me fino al giugno 1992 è contenuto in questo fascicolo che le mostro: non c’è niente di più. Solo successivamente, grazie a nuovi collaboratori di giustizia e altre evidenze, si sarebbe arrivati all’arresto di Antonino Buscemi e al sequestro dei suoi beni.
Lei però ha chiesto la smagnetizzazione delle intercettazioni: come mai?
Quello era un atto pedissequo, una prassi necessitata. E infatti in quel provvedimento, che mi fu portato dall’Ufficio intercettazioni, di mio c’è solo la firma. Il resto non è la mia calligrafia.
Cioè?
Eravamo in epoca di forte deficit per lo Stato: le bobine erano costose e il ministero chiedeva di smagnetizzarle e riutilizzarle. Inoltre, la Procura aveva un grave problema di spazi per la creazione della Dda con competenze su mezza Sicilia.
S’intercettava registrando su nastri già usati?
Infatti nel febbraio 1993 il procuratore Caselli informa il ministero della Giustizia che quella prassi non sarebbe stata più seguita, perché si rischiava di avere ascolti incomprensibili. E allega un parere tecnico della società che gestiva le intercettazioni, questo qui.
Cosa dice?
Che si rischia “un’attività vana”, nonostante il riutilizzo dei nastri sia previsto dalle “precedenti raccomandazioni ministeriali” e auspicabile per motivi “di economia gestionale”. Ma il problema non venne risolto.
Ovvero?
Ancora nel 1997 l’aggiunto Vittorio Aliquò scrive a noi pm spiegando che la “conservazione dei nastri” ha ormai saturato ogni angolo della Procura e dunque “è assolutamente necessario disporre con urgenza la smagnetizzazione delle bobine”.
Insomma sta dicendo che la sua richiesta non fu anomala?
Le consegno le circolari da me rinvenute, che imponevano la smagnetizzazione: legga lei stesso. E poi, mi permetta di dire che se avessi voluto proteggere i Buscemi mi sarei quantomeno assicurato che la smagnetizzazione fosse portata a termine.
E invece?
Legga qui: il 25 settembre 2023 il funzionario dell’Ufficio Intercettazioni certifica che “i plichi contenenti i nastri in questione e i brogliacci sono negli archivi”.
Non sono mai stati cancellati?
No, e di recente sono stati trasmessi alla Procura di Caltanissetta, come ha dichiarato il procuratore De Lucia.
Come mai non furono smagnetizzati?
Non lo so, per me non era importante perché quello era un atto di cui si occupava l’Ufficio intercettazioni. Ma se anche fossero andati distrutti, non ci sarebbe stato alcun danno perché i contenuti più importanti sono integralmente trascritti nelle informative del Gico. Senza considerare che il fascicolo sarà poi riaperto da Giuseppe Pignatone e affidato a Ilda Boccassini, Luigi Patronaggio, Roberto Sajeva e altri colleghi: se avessi condotto le indagini in modo negligente se ne sarebbero accorti.
A cosa si riferisce?
Queste posizioni vengono archiviate di nuovo nel 1995 e anche dopo.
Dunque Borsellino non le avrebbe chiesto conto della gestione di quest’inchiesta?
Avrebbe potuto farlo quando voleva, visto che all’epoca lavoravamo a strettissimo contatto: stavamo seguendo il processo all’ex sindaco di Castelvetrano, Tonino Vaccarino, e avevamo cominciato a interrogare il collaboratore Gaspare Mutolo.
Quindi in commissione Antimafia sono state riferite cose che non corrispondono alla verità?
Io preferisco fare parlare le carte. Per questo motivo ho inviato la certificazione sui nastri alla presidente Colosimo e ho chiesto due volte di essere ascoltato il prima possibile.
Cosa le ha risposto?
Attendo una sua comunicazione.
LEGGI – La falsa cugina di Paolo Borsellino smascherata dal fratello Salvatore